Chi pensa alla Svizzera come a un tranquillo Paese da cartolina, fatto di valli silenti e prati immobili, neutralitĂ strategica e poca verve, probabilmente non ne conosce la scena artistica contemporanea.
Il duo elvetico
Lutz & Guggisberg (Andres Lutz, Wettingen, 1968; Anders Guggisberg, Biel, 1966; vivono a Zurigo) torna per la seconda volta a Milano per sfatare questo luogo comune sulla loro terra d’origine. Abbandonando le forme inconsuete e spettacolari a cui hanno abituato il pubblico delle grandi occasioni, i due artisti – che vantano tra le fila dei loro collezionisti anche la collega
Pipilotti Rist – scelgono tele e pennelli per far germogliare i semi della follia pittorica, fondono metalli per creare ibridi scultorei, scelgono materiale all’apparenza lapideo per esplodere la carica creativa.
Un’ispirazione surrealista genera microcosmi che vivono all’interno di una tela, oggetti improbabili e macchine celibi plasmate artigianalmente, riscoperte estetiche di materiali naturali inorganici.
Pietre da leccare che pietre non sono, che invogliano lo spettatore a toccarle per accertarsi della loro consistenza, che riproducono forme di oggetti non artistici e assolutamente contemporanei, come
La panca wellness. Lo stesso spirito plasma le sculture metalliche: un casco da motociclista, un elmo medievale, stilizzati, abbozzati, quasi consumati dal tempo; articoli pensati per cingere e proteggere il capo umano, che diventano simbolo di un’intelligenza creativa eterna.
E poi, i dipinti. Grandi dimensioni, perché per ospitare un intero mondo, con i suoi personaggi e i suoi scenari, è necessario uno spazio adeguato; micro-galassie inventate dalle quattro mani congiunte dei due pittori, in cui vivono improbabili creature, con navi, astronavi, cibo, utensili, piante, case, tralicci dell’alta tensione, scale, erba, macchine improbabili; in cui rientrano anche gli oggetti che poi sono tangibili in tre dimensioni scultoree; in cui si scorgono citazioni, come la
Nave di Pane, del tutto simile al sottomarino giallo di beatlesiana memoria, come del resto tutto il loro immaginario, che sembra uscire dalla forza lisergica del film d’animazione del quartetto inglese.
E psichedelici sono anche i colori usati, forti e accostati in modo violento; psichedeliche e non sense sono le azioni bloccate sulla tela, sospese, quasi fossero ispirazioni che spingono lo spettatore a crearsi storie e vicende immaginarie, come
Nel boschetto della mia fantasia che cantano Elio e le Storie Tese. Forse, guardando bene, un
Vitello dai piedi di balsa, tra filoni di pane e palette da cucina, c’è.