“
Non sono un alchimista”, afferma
Richard Clements (Londra, 1983), “
ma sono attratto da alcuni aspetti della storia dell’alchimia. Le nozioni correnti di materiale e del ‘sé’ contrastano con il termine alchimia. Attualmente, questo si riferisce a un nostalgico richiamo di una spiritualità dimenticata; un ritorno a metodologie del passato volte a consolidare l’oggetto/soggetto, oppure a una sorta di generalizzato evento epifanico. Due realtà al fine di esistere come tali devono essere riconosciute sia come separate che in unione; per essere osservate devono diventare una sola, qualsiasi cosa e dovunque sia la loro ‘sostanza’”.
In
Untitled (2009), Richard Clements è un mesto impilatore, un accatastatore che dispone la materia utilizzata, come legname carbonizzato, seguendo la dimensione del grande falò, alto circa un piede (30 centimetri circa), largo due metri e lungo cinque piedi (1 metro e mezzo circa). Le assi sono geometria e striatura, impostazioni di qualcosa d’antico inscritto nel legno. Il materiale, caldo e sempre vivo, evoca la costruzione e la vicinanza costretta della legna accumulata per fare il fuoco. Questa “
architettura della distanza” è presagio di distruzione e ordinata premeditazione (idea di un incendio doloso).
Untitled assomiglia a un gigantesco gioco in cui si devono raccogliere e ri-assemblare le assi di una staccionata dismessa, oppure al crollo di un cavalcavia dell’autostrada, a cui mancano solo i modelli riprodotti in scala di automobiline giocattolo pronte a schiantarsi. Le inclinazioni diagonali delle ombre che interrompono gli elementi sono luoghi felici di visioni allungate; sembrano persone che passeggiano, frange informali, espressioni rettilinee di tensioni sommerse. Eppure queste immagini paiono non solo fantasmi, ma vere e proprie simulazioni fumose, che si dissolvono non appena, dietro la cornea, si verificano.
Le nove aste marroni, cerate sulla superficie, sono poste a terra in apparente disordine; sono fissate, in posizione casuale, da piccoli supporti angolari fusi in bronzo, somiglianti alle cerniere con le quali s’incardinano le finestre alle cornici. Se le tavole sono poste su binari e i supporti sono sulle assi, la composizione – secondo schemi culturali noti ai principi della Gestalt – ricordano l’equilibrio sacro delle architetture megalitiche. Solitamente, la “vera scultura” è in bronzo, una sorta di sicuro anacronismo. Ma la storia della composizione tridimensionale abbonda di marrone e verde, patina di quello stesso bronzo.
Si potrebbe quasi affermare che la storia è marrone e la scultura di Clements è parte di essa. Sarebbe dunque possibile costruire altre variazioni con lo stesso principio.
Ma, come ribadisce Clements, “
vorrei sperare che nello scambio/dialogo tra l’osservatore e l’opera avvengano dei cambiamenti, sia nell’oggetto che nello spettatore. Per me, quando ciò avviene, ha luogo un riconoscimento, come quando si guarda in un nuovo tipo di specchio che espone o tira fuori qualcosa d’insolito e mai visto prima”.