Nel suo modo di creare e tenere gli occhi aperti su quel che ha attorno,
Vincent Olinet (Lione, 1981) ricorda Oskar, il protagonista del
Tamburo di latta, romanzo d’esordio di Günter Grass. Oskar è un bambino che, a soli tre anni, capisce la falsità del mondo degli adulti e smette di crescere, rifiutandosi di farlo. Da allora, da gnomo qual è, osserva e commenta il mondo “dei grandi” (la Germania di Hitler) e dell’ingiustizia (la guerra).
Dalla prospettiva dello gnomo, tutte le anomalie, tutte le falsità e le illusioni del mondo della piccola borghesia tedesca, e poi gli orrori del nazismo e della guerra, sembrano ulteriormente ingranditi. Si tratta di una farsa, mordente e cattiva, uno specchio senza pietà, una messa in scena rivelatrice nei confronti delle maschere tenute dal pubblico. L’unico modo che Oskar ha a disposizione per imporsi contro il mondo anormale e assurdo dei grandi è suonare il suo tamburo di latta (
Rhythm is my only companion, titola la personale di Olinet),
accompagnando il proprio grido stridente alla forza distruttiva dello strumento e al suo potere irreggimentante.
Questa ribellione è lo specchio letterario dell’anarchia di Olinet. L’artista, probabilmente proprio come il suo alter ego, comincerà a crescere solo quando finiranno le apparenze delle ingiustizie evidenti; quando smetteranno le loro misure fuori-misura e proprio quando, come succede a Oskar, moriranno i nomi dei padri di un’epoca, quella contemporanea, costellata da idoli intercambiabili.
Vincent Olinet, dunque, non ha così tanta voglia di scherzare. Dissacrare non è un gioco da ragazzi, ma un’arte dolorosa e altera, che si paga a scapito di tante domande. E di ben poche risposte. Olinet gioca con gli oggetti più comuni, con i simboli più conosciuti della nostra cultura. Dalle sue torte sovradimensionate ed esplose, glassate e stucchevoli (
Petit Gâteau, 2003), alla dissacrante
After Me the Flood (2006), versione trash, in poliuretano e finta glassa della biblica arca di Noè, fino ai sette tamburi presentati per la prima volta a Milano,
Rhythm is my only companion, la volontà è sempre quella di non crescere seguendo i dettami del reale e le misure della materia.
Per l’artista francese, l’universo è una fiaba per bambini ma letta dai cosiddetti adulti, per i quali a volte la fantasia richiede repulsione e distacco completi dall’ordinario. I tamburi di Olinet richiamano, nella forma e nel colore, atmosfere circensi e giocattoli d’altri tempi, rivelando però, a causa del loro mancato utilizzo, il lato oscuro dell’aura persa. La voce del peana (della marcia militare) che ancora possono, a ben vedere, intonare.
Ecco dunque dare ragione a chi parla di Olinet come d’un artigiano che crea mondi e prospettive fantastiche, capovolgendo la certezza della quotidianità. L’artista, infatti, gioca con oggetti e soggetti popolari, sovvertendone l’ordine. Decontestualizzandoli con capricci visionari, che seguono i meandri del linguaggio e dei suoi misteriosi significati.