La cenere è sospensione, è solco, è metà. La cenere non brucia più, segno ciclico di passaggio tra distruzione e trasformazione. La cenere è la fine di un fuoco, oppure il luogo dove un altro può cominciare. La cenere sta fra i neri carboni eppure è il più potente sbiancante naturale. In realtà, essa segna il tempo che si consuma e che conclude senza smettere. È quest’ultimo uno dei motivi che ha spinto Giuseppe Armenia (Bauma, Zurigo, 1965) a scegliere la parola ash come titolo della sua ultima mostra. L’artista, fresco di personale a Torino presso la galleria Le Vide, rimodella gli spazi della galleria milanese, trasformando gli ambienti in un qualcosa di più… adatto.
Ha rivestito le pareti e il soffitto della galleria di bianco, colore utile a riprodurre un nitore certo, riverberante e propedeutico. Solo dopo questo passaggio, infatti, l’artista ha preso a disporre alcune delle opere e a crearne altre, site specific. La piena libertà in tema di gestione degli ambienti mette in risalto la spontaneità di Armenia nel plasmare i diversi materiali usati, conformandoli all’idea creativa. Allestendo, infatti, un laboratorio permanente attorno all’opera d’arte, nasce una sorta di sospensione duplice. Il pubblico non riesce ad appropriarsi oggettivamente delle istallazioni, mentre, dall’altra parte, l’artista non restituisce al proprio operato
Interessante notare, infatti, in qualche angolo della galleria, alcuni segni rimasti a memoria del lavoro svolto sugli spazi. Chi osserva bene, infatti, può trovare ancora alcune paia di scarpe da lavoro usate nel montaggio dell’esposizione, una memoria vigile della costante presenza creatrice. Le scarpe spuntano dalle pareti, come fossero quel che rimane di persone murate, quasi a indicare un nuovo e possibile punto di vista privilegiato. L’artista agisce così sul fenomeno dello spiazzamento creando degli imprevisti visivi, non immediatamente riconoscibili, che aggrediscono chi osserva con un tagliente colpo d’occhio.
Fuori dalla galleria, un funambolo fantasma cammina su un cavo d’acciaio: due scarpe da ginnastica in equilibrio magico sospese a tre metri da terra, con la sospensione di chi aleggia su tutto. Inoltre sono presenti i suoi “< i<CLASSICI i capovolti”, una serie di disegni stampati su teli di PVC, teli che prendono spunto, in questo caso, dalla Scuola di Atene di Raffaello, creandone una versione speculare ne Clandestini .
ginevra bria
mostra visitata l’8 aprile 2006
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