Maurizio Galimberti (Lecco, 1965) non ha bisogno di presentazioni. Ă ormai un fotografo che ha raggiunto fama internazionale. Si è fatto conoscere per le raffigurazioni assemblate che compone sulla base di scatti ricorsivi. Scatti catturati e impressi su pellicola polaroid. Una tecnica di tipo âcubistaâ, il photocollage, conosciuto nel mondo della fotografia, a partire dal lavoro del grande David Hockney, che se ne serviva per esplorare le diverse sfasature di gamme cromatiche e fisionomie.
I pannelli del fotografo lecchese, formati da decine di polaroid, riproducono spaccati reticolari di interi paesaggi. In questo caso, bersagliati dalle guide bianche, sono primi piani di monumenti e palazzi nella cittĂ di New York. Lâaccostamento delle cornici provoca un gioco di venature che sfalsano lâinterezza del ritratto originale, dilatandolo e, allo stesso tempo, sezionandolo. Solamente dopo essere state assemblate, le une con le altre, le foto âparlanoâ, ricostruendo il senso e le forme del contesto rappresentativo dâorigine. Il cosiddetto serbatoio del reale-di-fuori. La cornice bianca, attorno alla polaroid, fornisce dunque uno spunto, una nuova possibilitĂ di sfalsare i livelli di inquadratura. In questo modo si crea un ordine dinamico che investe il soggetto, fornisce paralleli e infine forma dis-ordini di simmetria.
Alla Bel Art Gallery di Milano, Galimberti ripropone alcuni studi, fatti durante il suo soggiorno a New York, lavori giĂ da tempo adocchiati in occasioni di fiere ed eventi trascorsi. Ma rispetto ai pannelli esposti in precedenza,
In un caso, in tre lavori in particolare, le cornici bianche delle polaroid sono state sfilate lasciando lâinquadratura rettangolare dello scatto senza frapposizioni fra unâimmagine e lâaltra. In mostra non viene esposta quindi la cotta di maglia formata dai ben noti foglietti di cellulosa. Ă stata lasciata, invece, la riproduzione stampata su tela dei puzzle interi, ormai liberi dalla scriminatura bianca. Le foto, fuori dallâarmatura geometrica che le incornicia, sono nude e affilate. Strano a dirsi, sembra che allâassemblaggio manchi un ordine. Lâorientamento compositivo che regola e verticalizza le architetture delle composizioni sembra sparito. O meglio, sembra che tra foto e foto non ci sia piĂš corrispondenza. Il senso di legame, quello che unisce e richiama unâimmagine con lâaltra, sembra essersi alterato.
Una seconda curiositĂ , sono i close up come Two taxis e Union Flag. Qui Galimberti brucia i colori scuri e inserisce elementi âallucinogeniâ che distorcono e creano un buon andamento narrativo allâimmagine, di per sĂŠ, altrimenti, statica.
ginevra bria
mostra visitata il 10 maggio 2007
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