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13
maggio 2008
fino all’1.VI.2008 Nathalie Djurberg Milano, Fondazione Prada
milano
La natura come madre impietosa e sadica burattinaia. La vita come selva oscura e mortale. Se spesso la videoarte è fredda, questa volta alla Fondazione Prada i lavori dell’artista svedese vanno guardati con la pancia. Anzi, con l’intero corpo...
di Nicola Bozzi
Vedere delle animazioni in stop-motion in uno spazio per l’arte contemporanea è un po’ una sfida: non si sa bene come considerarle. Sarà per questo che non succede molto spesso e sarà per lo stesso motivo che il successo internazionale di Nathalie Djurberg (Lysekil, 1978; vive a Berlino) può stupire. Ma i suoi video fanno parte di collezioni museali come quella del Moderna Museet di Stoccolma o del Guggenheim di New York e, tra mostre e biennali, hanno girato il mondo.
I video, interamente realizzati dell’artista svedese, sono animazioni di plastilina dall’estetica ruvida, il cui stile è ispirato più da artisti russi che dall’infallibiltà professionale di Wallace e Gromit. Se non raggiungono l’impeccabilità tecnica, trasmettono comunque una visceralità inquietante, catalizzata dalle musiche del compagno dell’artista, Hans Berg.
I temi e i personaggi di questi lavori sono legati a un immaginario fiabesco nel quale fanno irruzione sesso, perversione e violenza, mentre la moralità viene esplorata attraverso una simbologia che ricorda gli scritti di Bataille o i peggiori casi di cronaca nera. La tortura è sia subita che auto-inflitta, i rapporti sono carnali e morbosi, spesso familiari, ma gerarchici. Il corpo è squassato da manifestazioni d’amore isteriche e goffe, letteralmente disintegrato dai propri istinti più naturali.
Da una parte c’è l’intimità casalinga, dove il rapporto madre-figli finisce invariabilmente per consumare una delle due parti (It’s the Mother, 2008), dall’altra c’è il mondo di fuori, una foresta brulicante di vita minacciosa, regolata da leggi agghiaccianti nella loro semplicità. Vi si uccide, vi si è uccisi e vi ci si uccide (Turn into Me, 2008).
L’aspetto più intrigante della mostra è forse l’allestimento scenografico, a partire dal feltro che dal pavimento abbraccia l’entrata nella sala. Il comune denominatore della foresta, con le sue casupole e caverne, è l’ideale per rendere l’atmosfera fiabesca, sia privata che naturale. La casupola, la grande “patata” caverna, ogni installazione ha una funzione diversa che non è necessariamente quella di contenitore dei video. L’installazione più seducente, a livello scultoreo, è il gigantesco corpo di donna del quale vediamo emergere una mano, i piedi e la parte inferiore del busto. La sua vagina e il suo ano dischiuso (un occhio video cieco, riferimento ancora a Bataille) sono protesi verso il visitatore in un invito lascivo ma indifeso.
Per quanto i video di Djurberg siano in sé piuttosto inquietanti, è questo ambiente, con la sua grammatica espositiva non scontata, a rendere l’esperienza completa. A stimolare i sensi non ci sono solo i video con i loro suoni, ma anche gli odori e la consistenza della scenografia. Se ci vuole un valore aggiunto perché delle animazioni in stop-motion siano a proprio agio in uno spazio come la Fondazione Prada, questa resa lo fornisce.
I video, interamente realizzati dell’artista svedese, sono animazioni di plastilina dall’estetica ruvida, il cui stile è ispirato più da artisti russi che dall’infallibiltà professionale di Wallace e Gromit. Se non raggiungono l’impeccabilità tecnica, trasmettono comunque una visceralità inquietante, catalizzata dalle musiche del compagno dell’artista, Hans Berg.
I temi e i personaggi di questi lavori sono legati a un immaginario fiabesco nel quale fanno irruzione sesso, perversione e violenza, mentre la moralità viene esplorata attraverso una simbologia che ricorda gli scritti di Bataille o i peggiori casi di cronaca nera. La tortura è sia subita che auto-inflitta, i rapporti sono carnali e morbosi, spesso familiari, ma gerarchici. Il corpo è squassato da manifestazioni d’amore isteriche e goffe, letteralmente disintegrato dai propri istinti più naturali.
Da una parte c’è l’intimità casalinga, dove il rapporto madre-figli finisce invariabilmente per consumare una delle due parti (It’s the Mother, 2008), dall’altra c’è il mondo di fuori, una foresta brulicante di vita minacciosa, regolata da leggi agghiaccianti nella loro semplicità. Vi si uccide, vi si è uccisi e vi ci si uccide (Turn into Me, 2008).
L’aspetto più intrigante della mostra è forse l’allestimento scenografico, a partire dal feltro che dal pavimento abbraccia l’entrata nella sala. Il comune denominatore della foresta, con le sue casupole e caverne, è l’ideale per rendere l’atmosfera fiabesca, sia privata che naturale. La casupola, la grande “patata” caverna, ogni installazione ha una funzione diversa che non è necessariamente quella di contenitore dei video. L’installazione più seducente, a livello scultoreo, è il gigantesco corpo di donna del quale vediamo emergere una mano, i piedi e la parte inferiore del busto. La sua vagina e il suo ano dischiuso (un occhio video cieco, riferimento ancora a Bataille) sono protesi verso il visitatore in un invito lascivo ma indifeso.
Per quanto i video di Djurberg siano in sé piuttosto inquietanti, è questo ambiente, con la sua grammatica espositiva non scontata, a rendere l’esperienza completa. A stimolare i sensi non ci sono solo i video con i loro suoni, ma anche gli odori e la consistenza della scenografia. Se ci vuole un valore aggiunto perché delle animazioni in stop-motion siano a proprio agio in uno spazio come la Fondazione Prada, questa resa lo fornisce.
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nicola bozzi
mostra visitata il 19 aprile 2008
dal 18 aprile al primo giugno 2008
Nathalie Djurberg
a cura di Germano Celant
Fondazione Prada
Via Fogazzaro, 36 – 20135 Milano
Orario: da martedì a domenica ore 11-20
Ingresso libero
Catalogo Progetto Arte Prada, a cura di Germano Celant
Info: tel. +39 0254670515; fax +39 0252670258; info@fondazioneprada.org; www.fondazioneprada.org [exibart]