Vedere delle animazioni in stop-motion in uno spazio per l’arte contemporanea è un po’ una sfida: non si sa bene come considerarle. Sarà per questo che non succede molto spesso e sarà per lo stesso motivo che il successo internazionale di
Nathalie Djurberg (Lysekil, 1978; vive a Berlino) può stupire. Ma i suoi video fanno parte di collezioni museali come quella del Moderna Museet di Stoccolma o del Guggenheim di New York e, tra mostre e biennali, hanno girato il mondo.
I video, interamente realizzati dell’artista svedese, sono animazioni di plastilina dall’estetica ruvida, il cui stile è ispirato più da artisti russi che dall’infallibiltà professionale di
Wallace e Gromit. Se non raggiungono l’impeccabilità tecnica, trasmettono comunque una visceralità inquietante, catalizzata dalle musiche del compagno dell’artista,
Hans Berg.
I temi e i personaggi di questi lavori sono legati a un immaginario fiabesco nel quale fanno irruzione sesso, perversione e violenza, mentre la moralità viene esplorata attraverso una simbologia che ricorda gli scritti di Bataille o i peggiori casi di cronaca nera. La tortura è sia subita che auto-inflitta, i rapporti sono carnali e morbosi, spesso familiari, ma gerarchici. Il corpo è squassato da manifestazioni d’amore isteriche e goffe, letteralmente disintegrato dai propri istinti più naturali.
Da una parte c’è l’intimità casalinga, dove il rapporto madre-figli finisce invariabilmente per consumare una delle due parti (
It’s the Mother, 2008), dall’altra c’è il mondo di fuori, una foresta brulicante di vita minacciosa, regolata da leggi agghiaccianti nella loro semplicità. Vi si uccide, vi si è uccisi e vi ci si uccide (
Turn into Me, 2008).
L’aspetto più intrigante della mostra è forse l’allestimento scenografico, a partire dal feltro che dal pavimento abbraccia l’entrata nella sala. Il comune denominatore della foresta, con le sue casupole e caverne, è l’ideale per rendere l’atmosfera fiabesca, sia privata che naturale. La casupola, la grande “patata” caverna, ogni installazione ha una funzione diversa che non è necessariamente quella di contenitore dei video. L’installazione più seducente, a livello scultoreo, è il gigantesco corpo di donna del quale vediamo emergere una mano, i piedi e la parte inferiore del busto. La sua vagina e il suo ano dischiuso (un occhio video cieco, riferimento ancora a Bataille) sono protesi verso il visitatore in un invito lascivo ma indifeso.
Per quanto i video di Djurberg siano in sé piuttosto inquietanti, è questo ambiente, con la sua grammatica espositiva non scontata, a rendere l’esperienza completa. A stimolare i sensi non ci sono solo i video con i loro suoni, ma anche gli odori e la consistenza della scenografia. Se ci vuole un valore aggiunto perché delle animazioni in stop-motion siano a proprio agio in uno spazio come la Fondazione Prada, questa resa lo fornisce.