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22
giugno 2010
fino all’1.VII.2010 Gino De Dominicis Milano, Conduits
milano
Ricordi tattili di Gino De Dominicis. Testimonianza in absentia di un artista che seppe trovare nella non-presenza il senso del suo stesso operare. Mentre al Maxxi c’è la grande antologica...
Gino De Dominicis (Ancona, 1947 – Roma, 1998), chi era costui?, per
chiosare il Manzoni. Tetragono alla testimonianza documentale della propria
opera, rese vita difficile a studiosi e pubblico dell’arte. Avverso al valore
archivistico di cataloghi e monografie, riteneva che la riproduzione
fotografica fosse una sorta di latrocinio a danno dell’autore:“Le fotografie
non dovrebbero riportare il nome dell’‘oggetto’ fotografato o dell’artefice
dell’‘oggetto’ ma solo il nome del fotografo. Erroneamente ritenute
documentative, le fotografie non hanno invece relazione con le (mie) opere”.
Poco collaborativo nei confronti del mondo della cultura,
definito (anche) “artista sulfureo” per l’inclinazione “vampiresca” a vivere e lavorar di
notte, fu artefice del rinnovamento – lui che aborriva il modernismo e di sé
diceva: “Non sono stato mai molto interessato all’arte moderna e neanche a
quella antica, bensì a quella antidiluviana” -, giungendo finanche in anticipo sui tempi, fuori
dal tempo, con una produzione improntata alla disarticolazione dei tradizionali
codici espressivi e basata su un linguaggio proprio, il suo linguaggio, che in realtà parlava
all’umanità intera.
Fu un pensatore in opposizione a quella società
dell’immagine (In
principio era l’immagine, titolava un’opera del 1981) e dei vetusti mass media, successivamente incarnatasi
nell’espressione sussiegosa della “creatività contemporanea”, convinto com’era che le cose non
esistessero affatto, se non nel loro valore trascendentale, ossia kantianamente
come condizioni-di-possibilità-dell’esistenza.
Si pensi al suo testo sull’immortalità (Lettera
sull’immortalità del corpo, 1969), in cui rivolgendosi a un’interlocutrice misteriosa scriveva:
“Cara… io penso che le cose non esistono, per esistere veramente
dovrebbero essere eterne, immortali, solo così non sarebbero solamente le
verifiche di certe possibilità della natura ma veramente cose”.
L’immortalità: l’uomo affetto da sindrome di Down esposto con scorno dei benpensanti
alla Biennale veneziana del 1972, che col suo sorriso bambino sanciva l’ora
immobile dell’eternità. L’immortale, l’eroe-artista configurato nel mitologema
mesopotamico e nelle scorribande esoteriche di Evola, Guénon, Eliade,
codificato nei celebri alieni archetipici dal naso a becco, negazione della
civiltà della parola – la razionalità, l’impresa scientifica e il pensiero
occidentale – e riaffermazione del mysterium della divinizzazione dell’essere
umano.
Ora Conduits tributa un omaggio a questa figura chiave
della contemporaneità con una mostra per dir così filologica, attraverso un’esposizione di paraphernalia (lettere, immagini private di
proprietà di casa Politi, stralci di pubblicazioni periodiche di e su Gino De
Dominicis, notizie sull’autore che narrano il vissuto dell’artista e che per una volta
scostano l’attenzione dai suoi prodotti finali), con opere su carta e una
fotografia del celebre Zodiaco ritoccata a biro.
Donazioni di collezionisti e galleristi, ricordi tattili, in
absentia, di un
artista che ha fatto della non presenza l’intima essenza del suo operare.
chiosare il Manzoni. Tetragono alla testimonianza documentale della propria
opera, rese vita difficile a studiosi e pubblico dell’arte. Avverso al valore
archivistico di cataloghi e monografie, riteneva che la riproduzione
fotografica fosse una sorta di latrocinio a danno dell’autore:“Le fotografie
non dovrebbero riportare il nome dell’‘oggetto’ fotografato o dell’artefice
dell’‘oggetto’ ma solo il nome del fotografo. Erroneamente ritenute
documentative, le fotografie non hanno invece relazione con le (mie) opere”.
Poco collaborativo nei confronti del mondo della cultura,
definito (anche) “artista sulfureo” per l’inclinazione “vampiresca” a vivere e lavorar di
notte, fu artefice del rinnovamento – lui che aborriva il modernismo e di sé
diceva: “Non sono stato mai molto interessato all’arte moderna e neanche a
quella antica, bensì a quella antidiluviana” -, giungendo finanche in anticipo sui tempi, fuori
dal tempo, con una produzione improntata alla disarticolazione dei tradizionali
codici espressivi e basata su un linguaggio proprio, il suo linguaggio, che in realtà parlava
all’umanità intera.
Fu un pensatore in opposizione a quella società
dell’immagine (In
principio era l’immagine, titolava un’opera del 1981) e dei vetusti mass media, successivamente incarnatasi
nell’espressione sussiegosa della “creatività contemporanea”, convinto com’era che le cose non
esistessero affatto, se non nel loro valore trascendentale, ossia kantianamente
come condizioni-di-possibilità-dell’esistenza.
Si pensi al suo testo sull’immortalità (Lettera
sull’immortalità del corpo, 1969), in cui rivolgendosi a un’interlocutrice misteriosa scriveva:
“Cara… io penso che le cose non esistono, per esistere veramente
dovrebbero essere eterne, immortali, solo così non sarebbero solamente le
verifiche di certe possibilità della natura ma veramente cose”.
L’immortalità: l’uomo affetto da sindrome di Down esposto con scorno dei benpensanti
alla Biennale veneziana del 1972, che col suo sorriso bambino sanciva l’ora
immobile dell’eternità. L’immortale, l’eroe-artista configurato nel mitologema
mesopotamico e nelle scorribande esoteriche di Evola, Guénon, Eliade,
codificato nei celebri alieni archetipici dal naso a becco, negazione della
civiltà della parola – la razionalità, l’impresa scientifica e il pensiero
occidentale – e riaffermazione del mysterium della divinizzazione dell’essere
umano.
Ora Conduits tributa un omaggio a questa figura chiave
della contemporaneità con una mostra per dir così filologica, attraverso un’esposizione di paraphernalia (lettere, immagini private di
proprietà di casa Politi, stralci di pubblicazioni periodiche di e su Gino De
Dominicis, notizie sull’autore che narrano il vissuto dell’artista e che per una volta
scostano l’attenzione dai suoi prodotti finali), con opere su carta e una
fotografia del celebre Zodiaco ritoccata a biro.
Donazioni di collezionisti e galleristi, ricordi tattili, in
absentia, di un
artista che ha fatto della non presenza l’intima essenza del suo operare.
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dal 18 maggio al primo luglio 2010
Gino
De Dominicis – L’organizzazione della vita
Conduits/Gea Politi
Viale Stelvio,
66 (zona Maciachini) – 20159 Milano
Orario: da
martedì a sabato ore 15-19 o su appuntamento
Ingresso
libero
Catalogo
disponibile
Info: tel. +39
026883470; info@theconduits.com; www.theconduits.com
[exibart]