Una forma d’arte dinamica. Fatta dal movimento in sequenza senza confini. Di forme che cedono il passo al resto. Al dopo che subentra a un istante anteriore, lasciando una traccia simbolica.
È quanto mai suggestiva la mostra del pittore americano
Scott Short (Marion, 1964; vive a Chicago): una personale composta da oltre venti opere recenti, alcune di grande formato, in cui l’artista si sofferma in maniera attenta sul processo di produzione tra copia e originale, annullando ogni possibilità di relazione tra figura e astrazione.
Le opere di Short, infatti, tracciano immense galassie di puntini di pittura a olio o a inchiostro, che sembrano evocare un paesaggio interiore. Un sogno custodito nella memoria. Qualcosa di sospeso tra reale e non. “
Per quanto il processo alla base dei suoi dipinti”, spiega Sarah Cosulich Canarutto, “
cancelli ogni possibile riferimento a un soggetto reale, l’osservatore vi trova spesso richiami alla realtà. Le sue trame appaiono come enigmatici paesaggi immaginari, tracce di una memoria inconscia o personificazioni di tanti, incompiuti stati d’animo”.
Per arrivare all’opera finita, Short mette in atto un lungo procedimento creativo, coniugando il mezzo tecnico,
ovvero fotocopiando centinaia di volte in successione l’immagine generata da un foglio monocromo e vuoto, fino a quando i segni d’inchiostro compongono una forma, una nuova immagine pronta per esser proiettata sulla tela e dunque dipinta. Proprio da questa fase “meccanica” l’immagine sarà pronta per diventare quadro.
Insomma, uno straordinario processo in divenire, nel corso del quale l’artista non perde mai la sua centralità di artista. Mai “secondo” rispetto alla macchina, ma sempre e comunque demiurgo di un segno autoriale. “
Short mette in relazione riproducibilità, casualità e autorialità; lascia spazio al caso, fa emergere l’invisibile, trasformandoli in immagine. Nelle sue mani, la fotocopiatrice diviene strumento che crea un originale attraverso la copia. L’artista resta comunque colui che crea l’occasione, che riconosce una forma e sceglie di catturarla”, prosegue la curatrice. “
Se per Benjamin la copia toglie il potere all’originale, Short crea un originale dalla copia”.
In tal senso, l’intera opera di Scott Short si rivela una riflessione decisamente interessante sull’essere artista e sul fare arte oggi. Ogni quadro diventa un tassello ulteriore per indagare l’immensità di un mondo in divenire che resta inevitabilmente centrale all’autore.
Si pensi a Henri Bergson, per il quale la realtà dev’essere compresa in termini di “
evoluzione”. Il vero leitmotiv della mostra è quindi il dinamismo, il movimento delle forme. Arte come strumento cognitivo dello scorrere del tempo. Come punto di vista privilegiato per osservare le cose in costante metamorfosi. Per indagare la materia in moto, l’insorgere di qualcosa di nuovo, d’imprevedibile.