La mostra allestita al Castello di Masnago tenta di illuminare la nebulosa vicenda umana e artistica di Fra’ Galgario, proponendo numerose chiavi di lettura: la cronologia, i luoghi e i temi trattati. L’ultima sezione presenta un interessante confronto dell’opera galgariesca con autori coevi, alla ricerca della ricostruzione del contesto culturale in cui Fra’ Galgario si trovò a lavorare.
Giuseppe Ghislandi detto Fra’ Galgario (Bergamo, 1655-1743) è figlio di un pittore locale. Il suo vero maestro e poi rivale è
Sebastiano Bombelli, conosciuto a Venezia, dove arriva quindicenne. Sappiamo che nella città lagunare diventa frate paolotto col nome di Fra’ Vittore, ma non abbiamo molte informazioni relative a questo periodo e alla produzione artistica relativa. Sicuramente, una buona parte della sua prima pittura risente dell’influsso veneziano per il gusto sontuoso nella descrizione della nobiltà, per i colori lucidi e brillanti, le cosiddette lacche, di cui è esemplare in mostra il rosso splendido e prezioso nel
Ritratto di Gian Domenico Tassi.
Dopo un breve soggiorno a Milano, nel 1701 Fra’ Vittore fa ritorno a Bergamo, dove viene chiamato Fra’ Galgario, dal nome del convento in cui passerà il resto della propria vita. Nella città natale si scontra col realismo tipicamente lombardo e smorza il gusto veneziano in favore di un’atmosfera più sfumata e dalla materia pittorica più densa e consistente. L’idillio cede il posto alla verità umana e all’approfondimento dell’indagine psicologica.
Presto, nel secondo decennio del Settecento, arriva al successo, coltivando un genere di gran moda: t
este di giovinetti, spesso suoi allievi o collaboratori, abbigliati secondo una foggia orientaleggiante in camere in penombra, come nei bellissimi
Ritratto di Fanciullo e
Ritratto del Cerighetto, entrambi presenti nella rassegna varesina.
Nel periodo della maturità, invece, la pittura si fa più rarefatta, il colore è steso per macchie, con esiti estremamente moderni. Secondo il biografo Francesco Maria Tassi, c’è una precisa volontà di seguire l’esempio di
Tiziano, dipingendo con le dita i volti dei personaggi, in modo da confondere dolcemente ogni contorno. Da un punto di vista psicologico, si nota un indugiare sul tema della vecchiaia, accompagnata dal sentimento della malinconia. A questa fase risalgono i capolavori dei ritratti di
Bertrama Daina de’ Valsecchi e
Francesco Maria Bruntino.
In mostra anche il suo aiutante più stretto,
Paolo Maria Bonomino, che raggiunge i risultati più simili al maestro, nonché l’ironia di
Cesare Fermi detto il Norcino e il sottovalutato
Bartolomeo Nazzari, splendido ritrattista. Tra gli altri, alcuni stranieri come
Giuseppe Giachinetti Gonzales, soprannominato il Bergognone delle Teste, e soprattutto un bellissimo
Ceruti, che salda l’area bresciana alla zona del capoluogo e al milanese.
L’esposizione ha il grandissimo merito di riportare in auge Fra’ Galgario, proposto da Roberto Longhi nel 1952 nella celebre mostra
I Pittori della Realtà, dopo anni di oblio. Degne di nota le opere inedite presentate, frutto di nuove attribuzioni e ricerche.