Benvenuti in Arcadia! Tra pastori e pescatori a riposo sullo sfondo di albe dorate e uomini e dèi che vivono in completa armonia con una natura perfetta e ospitale. È da qui, con due meravigliose tele di
Claude Lorrain e altrettante di
Gaspard Dughet, che inizia il percorso attraverso due secoli di paesaggi al Museo Diocesano di Milano. Il plurale è d’obbligo, perché nell’arco di tempo indagato dalla mostra si alternano atteggiamenti opposti nella raffigurazione della natura: da bucolici paesaggi immersi in una quiete senza tempo agli scenari più impervi di una natura ribelle, fino alle vedute “scientifiche” del Settecento.
La mostra evidenzia un lungo percorso di emancipazione dalle posizioni idealiste e classicheggianti del Seicento, verso una pittura in grado di guardare e rappresentare il paesaggio senza mistificazioni. Un percorso di emancipazione il cui “faticoso” andamento viene evidenziato dal corpus centrale che la mostra intende valorizzare: la collezione del cardinale Pozzobonelli, arcade che diede probabilmente maggior lustro alla causa con la sua collezione più che con i suoi componimenti.
Tra i molti paesaggi che la costituiscono, si ritrova infatti il carattere unitario di una natura immersa in una serenità artificiale. I curatori hanno saputo integrare la collezione in modo da poter rappresentare il complesso scenario della pittura di paesaggio tra la metà del Seicento e la fine del secolo successivo. Si parte dalle atmosfere care al cardinale, in cui una natura armonica e quasi “musicata” offre gli scenari ideali per soste di pastori o viandanti o scene bibliche e mitologiche.
Ampio spazio viene poi dedicato al “paesaggio barocco”, che soprattutto con
Salvator Rosa e il
Cavalier Tempesta si rende attento al dinamismo di una natura più selvaggia e infida. Spiccano due tele di
Alessandro Magnasco, che con
Antonio Francesco Peruzzini raffigura il violento scenario di una marina in burrasca con pennalate rapide e toni freddi, e nel
Vecchio mulino investe la scena di una tensione malinconica e decadente tra schiene curve ed edifici quasi pericolanti.
Alla libertà compositiva della drammatizzazione del paesaggio seguirà la reazione settecentesca, che recupererà temi arcadici immergendoli di malinconia, fatica e amarezza, come nelle due tele di
Giuseppe Antonio Pianca, saprà concedersi alle suggestioni delle rovine e alla fantasia dei capricci e si sforzerà di ritrovare la visione esatta delle cose, trovando con
Canaletto grande eco internazionale, anche grazie alle commissioni “turistiche” degli aristocratici impegnati nel Grand Tour.
Da qui la mostra si apre alla riscoperta del paesaggio italiano, e attraverso alcune tele di pittori inglesi – tra cui va sottolineato
Paesaggio con arcobaleno di
Joseph Wright of Derby – collega lo scrupoloso percorso precedente alla coda fnale. Un passaggio forse troppo improvviso, ma che permette di apprezzare con uno sguardo allenato l’innovazione e la continuità dei due grandi pittori romantici inglesi, soprattutto attraverso il piccolo e meticoloso
Studio del cielo con raggio di sole di
John Constable e un elettrizzante e fragoroso mare in tempesta di
William Turner.
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sembra carina... quasi quasi ci vado. Il contemporaneo mi ha rotto.