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Tutto quanto io posso di una donna sì grande cantare, / lo sa la gente con me, è sempre meno di quant’ella meriterebbe: / e sappiate che può essere solo ammirata. / Ell’è luminosa quanto è fulgido l’astro di Diana: / la fede l’illumina, la speranza l’avvolge in modo mirabile, / ed abita in lei il dono maggiore, la carità”. Così il monaco Donizone descriveva Matilde di Canossa, singolare figura di donna che, in un Medioevo dominato dagli uomini, seppe detenere con fermezza il potere, reggere il bastone del comando su città e castelli, fondare monasteri e persino comandare (ferocissima, la definisce Petrarca) eserciti. Una donna che cambiò, con il suo carisma, la Storia. E che oggi è celebrata con una serie di mostre allestite nei luoghi che la videro all’opera: Mantova, Reggio Emilia e l’abbazia di San Benedetto Po, che torna all’antico splendore.
Siamo alla metà del Mille, mentre dopo il lungo sonno succeduto alle invasioni barbariche l’economia, la società e le arti iniziano quel risveglio che si sarebbe concretizzato nella fulgida età comunale. Matilde eredita dal padre Bonifacio l’incombenza di governare un territorio che dall’alta Lombardia si estendeva ai confini settentrionali del Lazio. Un’impresa non facile.
Poste a cuscinetto tra domini dell’impero e del papato, queste terre attiravano gli appetiti di entrambi, impegnati in un duro scontro per la supremazia. Così, tra deposizioni e scomuniche, Matilde ospitò nel suo castello di Canossa (era il 1077) l’incontro decisivo tra i contendenti. L’imperatore chiese perdono al Papa. E anche se la riappacificazione fu momentanea, il dispiegarsi degli eventi mise in luce la risolutezza e il coraggio di Matilde.
Le fonti la descrivono come il modello del principe laico ma fedele alla Chiesa, mecenate e riformatore in campo giuridico. Tutto ciò emerge dalle mostre mantovane: alla Casa del Mantegna sono ripercorsi, grazie a gioielli, cimeli e reperti archeologici -e ad alcuni filmati “mirati”- distribuiti lungo un percorso suggestivo, la vita di Matilde e il suo ruolo nelle vicende del tempo. Interessanti, oltre ai ritratti che testimoniano nascita e fortuna del mito, le pergamene originali che recano la sua firma, espressa nel monogramma
Matilda, Dei gratia si quid est: un motto in cui la contessa, conscia del suo valore ma anche umile, riconosceva che, se era diventata qualcuno, lo doveva solo a Dio.
Qualche debito lo aveva però anche con Anselmo da Baggio, futuro patrono di Mantova, che negli ultimi anni fu suo consigliere. Lo scopriamo visitando la sezione al Diocesano: fu lui a consigliarla di stare dalla parte del Papa. E fu lui a orientarla all’austerità e all’amore per i monasteri. Come quello di Polirone, fondato dal nonno Tedaldo nel 1007 e da lei scelto come luogo dell’estremo riposo. Il refettorio raccoglie il
corpus documentario accanto alle sculture di
Wiligelmo e ai manoscritti miniati prodotti nello
scriptorium abbaziale.
Altro caposaldo del potere di Matilde fu Reggio, il cui territorio situato in posizione strategica tra la pianura padana e la Toscana era (ed è) costellato di castelli finora non ancora studiati nel loro insieme. Nelle sedi reggiane, tale visione viene ricostruita analizzando i sistemi di fortificazione e le architetture. I quattro cataloghi (editi da Silvana, Pàtron e Postumia), per la vastità dei temi trattati si segnalano come punto fermo nella bibliografia matildica, accanto agli studi compiuti da Paolo Golinelli dell’Università di Verona.