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fino all’11.I.2011 Terre vulnerabili #1 Milano, Hangar Bicocca
milano
Fogli che cadono, ricami di crine, erba impressionata, diorami in bianco e nero e scorci come tendaggi. Il buio dell'Hangar è rotto. Negli spazi, una collettiva mostra la propria vulnerabilità...
di Ginevra Bria
studi geologici hanno classificato: “desertified lands”, “sensitive lands” e, nel mezzo dei due
livelli, le “vulnerable lands”. Territori che presentano accenni di
desertificazione, fatta eccezione per alcuni fattori che ne sanciscono la
salute invariabile in qualità di ecosistemi (piantagioni o reti di
irrigazione), dettagli che mitigano il processo di erosione. Esclusa dunque la
sterilità funzionale di un terreno e la rotazione triennale delle colture di
matrice cistercense, Terre vulnerabili – a growing exhibition resta di fatto un
titolo a sé stante. Un motivo che precede una collettiva aperta, senza
seguirne, al di sotto, l’andamento; senza rispettarne le modalità installative
e senza riflettere un’origine terminologica.
Terre vulnerabili – a growing exhibition è una mostra che determinerà il
proprio ciclo allestitivo nel maggio 2011, quando verrà realizzato l’ultimo
innesto curatoriale a completamento degli spazi dell’Hangar. Ideata come un “sistema
espositivo”
composto da altrettanti anelli e sottoinsiemi, Terre vulnerabili – a growing
exhibition sembra
avere al proprio interno un (vulnerabile) percorso in salita, un sentiero che
segue molto poco l’andamento scontato del proprio titolo: suggestione friabile
dall’identità claudicante.
Nonostante questo incipit, i difficili spazi bui
dell’Hangar vengono rotti, di tanto in tanto, da lavori per i quali è
consigliata una visita approfondita. Al di là dei nomi scelti (Airò, Arienti, Cattaneo, Friedman, Hatoum, Op de Beeck), alcune opere infatti intrudono
meglio di altre il buio degli spazi, ricreando isole totali, significanti
linguistici dall’evoluto codice poetico.
C’è da soffermarsi, appena dopo l’ingresso nell’Hangar,
sui frattali magici dei crini di cavallo di Christiane Löhr, artista che sopra una base di gesso, stesa sul
pavimento, imprigiona le linee organiche come corde di uno strumento antico.
Ancora da ricordare, poco di seguito rispetto al percorso della mostra, il
video strutturista di Rä di Martino e la macchina segnatempo di Alberto Garutti, che misura la verticalità
dell’Hangar attraverso il lancio temporizzato di fogli bianchi, rilasciati
dalla cima del soffitto.
Di notevole impatto anche l’enorme parete
erbosa di Ackroyd & Harvey che, nell’ultima sala, sotto il nome di Testament, impressionano milioni di fili
d’erba verticali come se fossero una pellicola all’estremità di una camera
oscura. La tecnica che crea ombre e sfumature di differente verde, infatti,
prevede un lungo tempo di gestazione. L’erba cresce per settimane seguendo la
luce proiettata nella sala, seguendo vuoti e pieni dell’immagine.
A proposito di linee che dividono il tutto dal nulla, nel
buio di Terre vulnerabili resta da notare la struttura candida, dal gusto
modernista, di Alice Cattaneo, ottima prova di visionarità prospettica.
ginevra bria
mostra visitata il 21 ottobre
2010
dal 21 ottobre 2010 all’undici gennaio 2011
Terre
Vulnerabili
a cura di Chiara Bertola e Andrea Lissoni
Fondazione
Hangar Bicocca
Via Chiese, 2
(zona Bicocca) – 20126 Milano
Orario: da
martedì a domenica ore 11-19; giovedì ore 14.30-22
; chiuso dal 13 dicembre al
10 gennaio
Ingresso: intero € 6; ridotto € 4
Info: tel. +39
0266111573; fax +39 026470275; info@hangarbicocca.it; www.hangarbicocca.it
[exibart]
I fogli che cadono sono gli stessi di questa opera di Andrea Nacciaritti:
http://tv.exibart.com/news/2008_lay_notizia_02.php?id_cat=78&id_news=6541&filter=piu_recenti&page_elenco=3
Non si tratta certo di rilevare l’ennesima analogia. Ormai l’arte contemporanea, per come comunemente intesa, è una patrimonio da cui attingere “sapientemente”. Mi sembra sintomatico che Alberto Garutti (oltre ad essere artista e anche insigne professore a Brera) proponga una recente intuizione di un giovane artista che potrebbe (anzi appartiene) alla generazione dei suoi studenti. Poi il lavoro: fogli bianchi, vuoti. Sparpagliati da una fotocopiatrice (forse assente nell’opera di Garutti). L’ennesima riflessione nichilista.
E anche questa mostra sembra il migliore dei mondi possibili, anche per la sua volontà di evolvere come un organismo.
Garutti sostiene che fuori dal museo l’artista debba andare incontro al pubblico e dentro essere più ostico, come direbbe lui: “farlo incazzare”. Il nichilismo, i fogli vuoti, possono essere:
una scelta fresca e leggera, un invito a completare l’opera, una piacevole suggestione visiva o l’ennesima rappresentazione italiana del fallimento (spero di no perchè con la rappresentazione del fallimento l’arte italiana ha veramente stancato rischiando di trasformare la rappresentazione in realtà). Potrebbe anche essere l’ennesima riflessione su questa “fase storica buia cattiva e amara”. L’opera nichilista però può anche essere il modo per di driblare molto semplicemente i contenuti. Può essere una scelta ruffiana, facile e quanto meno furba. In fin dei conti è anche una spreco assoluto di carta. Quasi il sapore di alcuni titoli finanziari Parmalat. Perchè sprecare? In nome della superiorità dell’arte?
Io credo che Garutti sia importante. Anche il suo lampadario che si accende quando scocca un fulmine in cielo, è assolutamente giustificato a fronte di una poetica molto più forte rispetto agli oggetti che discendono dalla poetica stessa (poteva sembrare “ikea evoluta” e invece no). Garutti ha sicuramente avviato una necessaria scesa dell’artista dal piedistallo, mantenendo alcune contraddizioni fisiologiche per il 1900 e per la sua generazione. Credo però che lo stupore (segnalo questa opera sempre nella mostra Terre Vulnerabili) o il nichilismo intelligente non siano più sufficienti. I concetti di “stupore” e “meraviglia” che esprime l’arte contemporanea rischiano di non essere più competitivi rispetto la realtà. La buona rappresentazione non basta più, non basta sempre. E anche quando l’arte decide di andare incontro al pubblico rischia di non reggere il confronto con la realtà (intendo altre forme d’arte, l’assuefazione e assimilazione del pubblico di una certa creatività diffusa, ecc.) . E anche quì: una rappresentazione poetica, che salva spesso il percorso di Garutti, non sarà più sufficiente, perchè anche la multinazionale sta scoprendo- gioco forza- la poesia. Alberto Garutti mise a nuovo a Colle Val D’Elsa la corale del paese, pochi mesi fa Diego Della Valle ha completato, nelle sue marche, una mega scuola moderna e al passo con i tempi. Inoltre la sovrapproduzione e la reiterazione di alcuni codici mettono a repentaglio anche l’opera come bene di lusso (mi riferisco al post 2000, non certo ai valori consolidati).