Metti due artisti, due amici. Si frequentano per molti anni, espongono per le stesse gallerie, l’uno a fianco dell’altro. Poi ad un certo punto, decidono di fondere i propri interessi in un lavoro unico e ne nascono tre mostre. La prima a Parigi, nel 2000, alla galleria Durand-Dessert. La seconda a Berlino, da Markus Raetz, nel 2004. La terza da A Arte Studio Invernizzi.
Alan Charlton (Shieffield, 1948) e David Tremlett (Sticker, Cornovaglia, 1942) sono una coppia assolutamente atipica. Un’esperienza artistica che nasce in luoghi e situazioni differenti, negli anni ’70, seguendo percorsi individuali, sviluppando istanze progettuali proprie e difformi che permangono in questi occasionali incontri europei, privi di qualunque desiderio di sfida o confronto, bensì concepiti come jam session creative, dialoghi costruttivi attorno la pittura. “Questo lavorare insieme” spiega Charlton “è quasi come fare del jazz, non nell’aspetto dell’improvvisazione”, che tuttavia non manca, “ma in quello di suonare l’uno con l’altro, come un sassofono contro una tromba e si crea un tipo di armonia e orchestrazione musicali”, in cui non esistono prevaricazioni, né interferenze, nel rispetto reciproco delle rispettive individualità e interventi.
Così, quando Alan installa i propri monocromi, non sa come evolverà il lavoro, affidato alla pittura di David, che ne integra le composizioni con tarsie colorate dipinte con le mani direttamente sulle pareti della galleria. Entrambi studiano e rielaborano lo spazio, lo animano d’inserimenti organici, operati nel tentativo di raggiungere un alto grado d’integrazione tra opera d’arte e spazio vissuto, con soluzioni quasi architettoniche. Quest’omogeneità, auspicata dagli artisti, non sempre riesce a raggiungere le vette desiderate. Le grandi composizioni -puzzles concettuali di due mentalità dissimili, ma combinabili- pur guadagnando suggestioni di un livello notevole non riescono a coinvolgere-avvolgere, a essere all-over, ma rimangono intrappolate nei confini del quadro. Le pareti, chiamate a vibrare, trattengono vigoria, concedendosi ad una contemplazione statica, puramente mentale, straniata, ma non commossa dalla stesura del colore volutamente grezza di Tremlett, né dalla loro disperata relazione con le frigide monocromie di Charlton. Lo scontro-incontro di due realtà, uguali e contrarie, porta ad una dispersione vana d’energia. Ma lo spettatore, assopito, non soffre.
santa nastro
mostra visitata il 26 febbraio 2005
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cara santa nastro, non esiste nessuna galleria markus raetz a berlino, semmai si chiama markus richter. Il buon raetz fa l'artista, a meno che non cambi mestiere e passi dall'altra parte delle barricate...
caro lettore, ti ringrazio della precisazione. E'stata una svista, comunque. Amo molto Raetz, al punto che lo vedo ovunque. Cmq si dice castroneria non castronata...svista per svista...