Venti opere di Jannis Kounellis (Pireo, Grecia, 1936) invadono la grande e alta sala della Fondazione Arnaldo Pomodoro -un’ex fabbrica di turbine- creando quello che Bruno Corà, curatore della mostra, definisce un “affresco nello spazio”. Opere storiche, qui rivisitate, suggeriscono nuove e potenti immagini, figlie di un’incessante sperimentazione.
Una grande opera dal respiro solenne è stata concepita orchestrando perfettamente le diverse componenti e lasciando esprimere le qualità fisiche, espressive e metamorfiche di materiali vivi come il legno, la terra, il fuoco e il sangue. Che uniti a materie di recupero come sacchi di juta, corde, vele, sacchi di carbone e lamiere, costruiscono la drammaticità e la potenza evocatrice di quell’atto unico e mai più ripetibile. Un mese di lavoro ha infatti legato l’artista e lo spazio espositivo: il primo impegnato ad allestire la mostra, il secondo a “comunicarsi”. A testimoniare l’azione, passo dopo passo, è il regista Ermanno Olmi, che ha “pedinato” l’amico realizzando un film-documentario.
La materia cruda e grezza plasmata dall’artista rievoca impulsi primordiali che risucchiano lo spettatore. Camminando tra le installazioni si ripensa alla solennità dei lavori di Burri, alla spazialità di Fontana e ancora a Penone e Pistoletto. Ma si ritrova anche una nuova coscienza del dissidio latente nel “non-finito” di Michelangelo.
La distanza tra l’arte e realtà, estetica e vita, è qui annullata. L’opera in progress ne assume addirittura i tempi. Lunghi, inesorabili. Immagini potenti si manifestano come fulmini all’occhio del visitatore che, coinvolto in un incessante confronto, ricerca nuovi punti di vista, salendo le scalinate che portano alle piattaforme dei livelli superiori.
Monolitica e chiusa come una fortezza è la libreria quadrangolare. Dalle sue pareti gocciola il sangue di quarti di bue macellati.
Fa riflettere la grande installazione dedalica scandita da imponenti quinte di ferro sormontate da mucchi di carbone. Superato l’ampio ingresso del labirinto il passo rallenta. Al suo interno i sentieri si fanno bui, le pareti si avvicinano, lo sguardo cerca il punto di fuga, mai scontato. È qui che l’artista mette in scena la vita e il lavoro dell’uomo in un continuum tra nascita e morte. Fame, morte e paura tornano nelle grandi lastre di ferro punteggiate da lampade a petrolio accese.
A dare ritmo alle installazioni sono vertiginosi pilastri a vite, spirali di ferro che dal pavimento salgono fino al soffitto. Un tributo alla laboriosità milanese che ritorna, nel pianoforte, omaggio alla città e al Teatro alla Scala. E un musicista suonerà, a intervalli regolari, la ripetizione ossessiva di una strofa del Nabucco verdiano.
articoli correlati
La mostra di Kounellis al Madre di Napoli
Alla Galleria Bonomo di Roma
silvia criara
mostra visitata il 12 ottobre 2006
La capitale coreana si prepara alla quinta edizione della Seoul Biennale of Architecture and Urbanism. In che modo questa manifestazione…
Giulia Cavaliere ricostruisce la storia di Francesca Alinovi attraverso un breve viaggio che parte e finisce nella sua abitazione bolognese,…
Due "scugnizzi" si imbarcano per l'America per sfuggire alla povertà. La recensione del nuovo (e particolarmente riuscito) film di Salvatores,…
Il collezionista Francesco Galvagno ci racconta come nasce e si sviluppa una raccolta d’arte, a margine di un’ampia mostra di…
La Galleria Alberta Pane, 193 Gallery, Spazio Penini e Galleria 10 & zero uno sono quattro delle voci che animano…
Si intitola “Lee and LEE” e avrà luogo a gennaio in New Bond Street, negli spazi londinesi della casa d’aste.…
Visualizza commenti
E se fosse tutto un " bleuf " ?
sei entrato nella fondazione?