È suggestiva l’alternanza tra l’assoluta predominanza del bianco e della luce da esso riflessa nello spazio espositivo della galleria Battaglia e il nero delle tele presentate da
Danilo Buccella (Liestal, 1974). Alla sua seconda personale milanese, l’artista espone un ciclo di opere realizzate dal 2001 al 2002 e mai presentate prima, nelle quali personaggi inquietanti dalla pelle cadavericamente bianca e lo sguardo allucinato potrebbero essere i protagonisti di un film di
Tim Burton.
Con essi, però, condividono soltanto l’estraneità alla società, per scelta propria o di altri, e la parte “oscura”: l’aspetto spaventoso di
Edward mani di forbice (1990), gli intenti minacciosi di Jack Skeletron (in
Tim Burton’s Nightmare Before Christmas, 1993), lo sguardo stralunato di Willy Wonka nella
Fabbrica di Cioccolato (2005). La disarmante dolcezza dell’uomo senza mani, l’ingenua goffaggine del re delle zucche, la straziante tristezza del proprietario della fabbrica sono completamente assenti: i personaggi di Buccella sono arrabbiati e aggressivi, pronti a compiere gesti terribili. Nelle esistenze degli esseri che ci vengono presentati non c’è alcuno spazio per la redenzione, alcuna intenzione di pentimento, alcuna speranza di salvezza.
I paesaggi tetri che ospitano queste figure fanno da quinte teatrali a racconti dell’orrore che si crederebbe ideati da Edgar Allan Poe. Lo spazio, definito attraverso campiture di colori sovrapposti con abile tecnica pittorica, diventa specchio del malessere di chi lo abita, il suo stato d’animo.
Come se il paesaggio interiore e quello esteriore coincidessero nella creazione di una realtà sospesa, resa visibile in alcune opere attraverso la rappresentazione dell’acqua, simbolo di una calma apparente, portatrice di oscuri presagi (la nave che potrebbe salvare l’uomo in mare, raffigurato in un dipinto, si sta allontanando per non tornare e, così facendo, ne decide la condanna a morte).
Il buio domina su tutto come re incontrastato. Non esiste alcun riferimento temporale: il sole manca completamente. Quella a cui ci si trova davanti è una lunga notte, tanto scura da invadere anche l’anima dei protagonisti delle opere: sono gli stessi che popolano gli incubi dei bambini, artefici di azioni crudeli che non vengono però svelate. Il pittore descrive l’attimo prima o quello appena successivo al loro compiersi. Gli sguardi, allora, possono essere minacciosi o compiaciuti per ciò hanno fatto, sempre rivolti verso lo spettatore che vogliono impaurire con l’idea che potrebbe essere la prossima vittima di qualche orrendo crimine, che dall’acqua potrebbe svelarsi una visione raccapricciante, che le rare tracce di bianco potrebbero, da un momento all’altro, tingersi di rosso.