Una giovane artista di Erba, scossa dagli eventi terrificanti che hanno interessato negli ultimi mesi la sua cittadina, decide di raccontare a proprio modo una storia ispirata al dramma che tutti ricordiamo come “la strage di Erba”, denunciando al contempo l’ossessione mediatica di cui ognuno è vittima.
Grazie al consiglio di un’amica giornalista e al ricordo di una canzone dei Subsonica, il titolo scelto (
I vicini non fanno rumore) calza a pennello per l’atmosfera sospesa e ovattata degli interni domestici dipinti da
Annalisa Pirovano (Erba, Como, 1978; vive a Milano). Salotti e sale da pranzo, in cui ignari personaggi, uomini e donne, dall’atteggiamento annoiato e scostante, trascorrono ore in ozio, leggendo il giornale, a tavola, alla scrivania o sprofondati in poltrona.
In alcune tele i protagonisti voltano le spalle all’osservatore, come a volersene allontanare, ma è proprio il voyeurismo a essere enfatizzato da questa ricerca, che investe sociologia e comunicazione. Spesso invece fissano dritto negli occhi, con uno sguardo allucinato oppure perso nel vuoto. La serie
Gente tranquilla ha una connotazione ironica: i protagonisti sono tutt’altro che tranquilli, ma sembrano vivere uno stato psicotico, accanto a coltelli da cucina che si preannunciano come probabili armi per un futuro delitto.
Una lente d’ingrandimento deformante, un obiettivo ingigantito permette di spiare l’intimità di questi ipotetici ed eventuali vicini di casa, così simili a noi: abitano appartamenti o villette tradizionali, ricordano la casa della nonna o della zia, o comunque ambienti che ben si conoscono. Nella familiarità e nella quotidianità, ecco che però s’insinua la distorsione, fisica e visuale, e soprattutto psicologica, per l’alterazione dell’immagine: l’attesa della tragedia che scoppierà a breve, annunciata dalla calma apparente, in un contesto noir che richiama i film degli anni ‘20 e ‘30, oppure le spregiudicate e attualissime pellicole di
Quentin Tarantino.
Le scene si svolgono in bianco e nero, come in un telefilm anni ‘50, l’età in cui è nata la televisione. E proprio la tv diventa un’altra protagonista delle vicende, come un occhio che segue invece di essere seguita, al pari di una persona in carne e ossa. Scrive infatti Mimmo Di Marzio, il curatore della mostra: “
L’angolo visivo, per paradosso, viene spesso ad interagire con un televisore acceso che sembra a sua volta guardare l’osservatore, aumentando la tensione e il senso di alienazione dentro la scena”.
Un Grande fratello freddo e spietato, che entra nelle case per trovare anime vuote e stanche, grigie e senza speranza. Un iper-realismo metaforico e strumentale che, con buona padronanza della tecnica, raggiunge i propri obiettivi.