Poesia e tecnica. Queste le due costanti della produzione artistica di Claudia Peill, ancora una volta intenta ad osservare, scomporre e ricomporre frammenti di corpi e di esistenze.
La sua ricerca, che da sempre verte sul corpo umano, arriva ora ad un punto di altissima tensione lirica: fotogrammi scomposti ci trascinano verso il “precipitare languido, sgomento, nullo, senza più peso e senza senso” di pascoliana memoria (G. Pascoli, La Vertigine).
Un precipitare che, bloccato nell’attimo atemporale dello scatto fotografico, perde ogni connotazione specifica, confondendosi tra l’ascesa e la caduta.
La poesia insita nel lavoro della Peill non può essere disgiunta dalla sua tecnica: il backstage di ogni lavoro parla di un lento e meticoloso percorso di appropriazione del soggetto fatto di scatti fotografici, di camere oscure, di tagli e ritagli, future protesi che costituiranno una nuova entità, ancora più leggera e languida quanto più perde peso e unità formale.
I moduli che l’artista romana crea vengono poi permeati da pigmenti, colorati o raffinati B/N, resine traslucide, voluttuose e morbide, quasi a compensare la fredda e pesante rigidità della cornice in metallo scuro.
Un modus operandi, questo, che ha il sapore di morbosa e tenace creazione, quasi fosse impossibile, per l’artista, un altro modo di restituirci il reale, quel mondo ordinario che il suo occhio fotografico e la sua poetica sensibilità ci rendono trasformato in qualcosa di nuovo, di intimo.
I lavori ora esposti alla Galleria Pack sono frutto di un progetto site specific il cui esito è davvero incantevole: il bianco spazio espositivo milanese offre continui cambi di prospettiva, grazie alle quattro ampie sale unite tra loro da angusti quanto inaspettati passaggi, favorendo così la percezione di momenti colti quasi di sfuggita, poetici e surreali.
Soggetti protagonisti di queste nuove fotografie sono tuffatori olimpionici colti nel momento della caduta nel vuoto, verso la superficie increspata dell’acqua. Lo sguardo dell’artista si stringe sempre più, teso verso un dettaglio fortemente plastico in alcuni casi – si vedano l’intenso Perdutamente ed il rigoroso D’ora in poi – più sospeso ed impalpabile in altri: Finora , Tutto in una volta ed Attesa . Questo lento ma inesorabile zoom sul dettaglio ci impedisce, in ultima istanza, di poter identificare il contesto, trasformando la caduta in una possibile ascesa, l’istante in eternità: “Il corpo si inabissa mentre la mente sale, non ci sono più le parole, l’angoscia è lenita solo da uno stato di quiete, né terra né cielo” (Martina Cavallarin, Sospensioni).
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