“Vivo in una città dove è
praticamente impossibile produrre arte”, scrive Fikret Atay (Batman, 1976) a presentazione del
proprio lavoro. “Provo più piacere nel fare arte nei contesti
dell’impossibile piuttosto che in quelli metropolitani. Il successo, nonostante
le difficoltà, è forse il punto di partenza per il lavoro più stupefacente e
potente. Penetrare nella vita di tutti i giorni, scoprire la profondità del
tempo in un momento, riflettere questo nella città in cui si vive e lottare per
capire… sono le difficoltà da affrontare per fare arte nella mia città”.I video di Atay sono piccole
finestre luminose, passaggi poetici spalancati sulla propria cittadina natale.
Mosaici-video, prodotti con mezzi di fortuna, registrano allegorie e percorsi
della vita d’ogni giorno, vita confinata nel sud-est dell’Anatolia, in Turchia,
vicino al confine con l’Iraq.Senza alcuna sofisticazione, al
limite del rispetto per le tecniche del montaggio, Atay ricostruisce con trasparenza
immediata lo scorrere del tempo nella propria società, raccontando cambiamenti
e sovrapposizioni tra l’Occidente globalizzato e la povertà – senza inizio né
fine – di quella fetta di mondo. In maniera deduttiva, dal particolare al
generale Atay mostra in questa personale milanese la sua capacità di
sintetizzare messaggi, codici e linguaggi che, intersecando gli insiemi di
molteplicità e individualismo, diventano universali.
Tinica, Gooaall!!, Any Time Prime
Time e The
country for old man! sono
i quattro progetti presentati in assenza dell’artista alla Fabbrica del Vapore.
Ad Atay infatti è stato negato il visto per entrare in Italia (cosa alquanto strana, dal
momento che l’artista ha galleria a Parigi e ha spesso esposto in prestigiosi
musei all’estero) senza che venisse addotta alcuna motivazione.Nel video Tinica un ragazzo, su una collina al
tramonto, suona una batteria assemblata con bidoni e coperchi, fino a che, nel
pieno di una rullata, il protagonista si alza, dà un calcio alle percussioni,
che rotolano scomposte verso il basso, verso la città. È stato solo un attimo,
ma intenso. Curioso anche Any Time Prime Time nel quale attori locali, come da
decorrenza annuale, mimano un racconto popolare, ritraendo storie di gerarchie
e di impossibilità nell’infrangerle.
L’unico lavoro inedito esposto per
la prima volta a Milano, invece, porta il titolo di The country for old
man!. La
fotografia viene presentata come un passaporto visuale dell’artista al quale,
essendo stato negato il servizio militare, per paure paterne, all’interno della
sua comunità non riesce a trovare un proprio ruolo. “Non ho fatto il
militare”, scrive senza falsi pudori Fikret
Atay. “Mio padre non me lo ha permesso perché i miei due fratelli non ne
hanno mai fatto ritorno. Ecco perché non ho un’identità. Secondo la logica del
sistema, io non esisto. Non vivo. Non risulto essere il padre dei miei figli.
Il mio viaggio più lungo è stato quello dal mio villaggio a Batman. Ma sono
felice. Perché sono qui”. ginevra bria
mostra visitata il 3 giugno 2010
dal 3 giugno all’undici settembre 2010
Fikret
Atay
a cura di Gabi Scardi
DOCVA – Documentation Center for Visual Arts
Via
Procaccini, 4 (zona Cimitero Monumentale) – 20154 Milano
Orario: da
martedì a venerdì ore 11-19; sabato ore 15-19
Ingresso
libero
Catalogo
Corraini
Info: tel. +39
023315800; info@docva.org; www.docva.org
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