Sono cose che accadono, quelle che ispirano gli oltre quaranta scatti di Alessandra Spranzi (Milano, 1962) in mostra a Milano. A volte sembrano eventi impossibili, ma non sono inimmaginabili. E’ la mente che li produce, anche se gli oggetti fotografati sono di straordinaria quotidianità. In un mondo totalmente femminile, fatto di piatti, bottiglie, tavoli, bicchieri, latte, burro, uova, tazze, ma anche fiori e foglie, l’artista sembra assente. In realtà, come un silenzioso demiurgo, dà vita, attraverso il suo sguardo, ad una realtà dai connotati incredibili e sempre inaspettati.
Le immagini parlano di cose che semplicemente succedono: si può soffiare l’aria dal gambo di un fiore, o cercare di afferrare il latte con una mano; rovesciare un bicchiere o stringere dietro le spalle delle normalissime palline da tennis. S’intravede una presenza, testimoniata da una mano, un braccio che afferra una bottiglia, una figura rannicchiata sotto il tavolo, due dita che vorrebbero afferrare una tazza rotta a metà. Immagini concrete e insieme sospese in uno spazio vuoto, di un colore che non sfugge a grigie luminosità, o a sfondi di un marrone oscuro, da cui gli oggetti emergono a testimoniare lo stupore di chi sa che possono capitare degli “incidenti volontari.”
La visione della Spranzi sembra sprofondare in un mondo di pura soggettività, ma è in realtà da questa estrema intimità, da questo sostanziale riserbo, che si afferma una nuova forma di conoscenza, che comunica al mondo esterno attraverso ciò che c’è di più familiare. Una poetica dell’anomalia, una registrazione della solitudine, una consapevolezza della fatalità dell’esclusione. Non a caso sono state ricordate da Francesca Pasini, nel saggio introduttivo del catalogo, le parole di Susan Sontag: “fotografare significa inquadrare, e inquadrare significa escludere.” Si può azzardare la parola metafisica per questa espressione artistica? Forse.
La stessa artista fa riferimento all’invisibile, a ciò che non potrà accadere o è già accaduto e, come spesso avviene, é sottratto alla memoria. Quando si sente la sospensione del tempo, o si intuisce una bellezza che rischia di smarrirsi.
Osservare le fotografie di Spranzi significa compiere il suo stesso viaggio all’interno di una stanza, dove è intensa la suggestione del mistero e facile il percorso dell’immaginazione.
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