Controcorrente era il romanzo del bohemien Huysmans e la stigmate si rovescia per opposizione sul senso di questa collettiva organizzata da Luciano Inga-Pin come pura espressione della contemporaneità. Una mostra
fatta su misura, recita il titolo, nell’accezione duplice dell’espressione, concreta e ideale: realizzata in modo tale da far comunicare i lavori degli artisti anche a livello di allestimento in un preciso luogo fisico e proiettata all’esterno nel mondo là fuori, per suggellare il connubio fra arte e vita. Al di là delle facili concessioni al fascino
décadent del binomio, perché, dice il curatore, l’arte contemporanea è un oggetto di comunicazione che, come tale, segue le leggi dell’interrelazione globale, venendo a rappresentare dunque la vita e ciò che noi stessi siamo, qui e ora.
Undici gli artisti proposti, con sculture, dipinti e installazioni, in gran parte della nuova generazione. Ma anche artisti meno giovani, con una ricerca già avviata alle spalle. Tutti però contraddistinti dalla seguente caratteristica: privi di un consolidato percorso di gallerie, conducono una vita fuori dall’arte in quanto sistema organizzato, ma dentro l’arte come corpo vitale ancorato alla contemporaneità. Dunque, artisti giovani non solo anagraficamente -che pure sono la maggioranza- ma anche e soprattutto in quanto proprietari del tempo presente e limpido riflesso del rinnovamento.
Come
Tommaso Chiappa, che con il monocromo blu
Partenze estende il frammento autobiografico del viaggio-senza-fermate nella dimensione universale dell’ineffabilità dei sentimenti: non ci vogliono tante parole per esprimere gli stati d’animo.
E quando si prova la sensazione che tutto tenda a scomparire nel caos della vita si creano dei vuoti, come il bianco che inonda il blu sulla tela. Una sensazione di annichilimento che in
Stefano Spera prende la forma dell’azzeramento della personalità indotto dalla sfera oggettuale: in un rovesciamento tipicamente baudrillardiano non è l’essere umano a pensare l’oggetto ma è quest’ultimo a sovrastare la persona (
Richard Air Force, preclaro esempio della proiezione feticistica del sé sugli oggetti).
Transazioni soggetto/oggetto che nei lavori di
Matteo Antonini prendono la forma dello scontro e dell’opposizione relazionale figura/sfondo, enfatizzandosi in una sorta di trasfigurazione della dimensione temporale nella dimensione esistenziale, cifra stilistica pervasa dalla melanconia esemplificata in opere come
Manifesto. Visione inafferrabile e poste in relazione come forte rimando esplicativo reciproco ai lavori drammaticamente intrisi di vita di
Emilio Savinetti,
Carmelo La Gaipa ed
Emanuele Resmini (Milano, 1980), che con l’installazione
Autismo, icastica rappresentazione del mondo interiore, unisce l’espressione della propria creatività all’impegno sociale.