Dopo appena due anni, Meschac Gaba (Cotonou, Benin, 1961; vive ad Amsterdam) torna negli spazi milanesi della galleria Artra -che a breve smobiliterà da Genova e che ha in programma anche un trasloco per quanto concerne la sede meneghina- con un progetto espositivo curato da Marco Scotini. L’artista africano vanta ormai un curriculum di tutto rispetto, da Documenta XI alla Biennale veneziana del 2003, passando per il progetto del Museum of Contemporary African Art (1997-2002) e la prossima collettiva Dressing Ourselves in Triennale, oltre che nei newyorkesi PS1 e New Museum. Naturalmente la sua presenza non poteva mancare anche alla rassegna itinerante intitolata Afrika Remix, fino al 20 agosto al parigino Beaubourg. Proprio al progetto presentato laggiù si riallaccia il lavoro allestito da Artra. Le pain migrateur sviluppa ulteriormente la riflessione di Gaba in merito al postcolonialismo, alla “radicale decostruzione del concetto di identità”. Insomma, temi che nelle università degli Stati Uniti soprattutto, con tanto di dipartimenti ad hoc, si dibattono da anni e che ovviamente nel nostro Paese sono approdati con enorme ritardo.
Per tornare all’intervento dell’artista del Benin, la mostra si articola sostanzialmente in due parti. La prima consiste in un video realizzato nell’aprile del 2004. I soggetti, immersi in un silenzio quasi totale e comunque senza la pur minima espressione sonora umana, sono boulanger conterranei di Gaba. Ebbene sì, anche se il grano nel Benin non cresce, il Paese francofono ha adottato stabilmente la baguette, il pane migratore citato nel titolo. Le mani nerissime miscelano la f
Sembrerebbe, dicevamo. Perché bastano pochi passi per trovarsi nella seconda sala. Che illumina di ritorno la prima, almeno metaforicamente. E qui campeggiano su mensole, teche di gioiellier-panettieri, cesti in vimini vintage decine di sfilatini. Nature, oppure adorni di coloriture dorate, malva, nere… Il pane che può divenire status symbol e/o nazionalpopolare, sempre però declinato da ogni etnia e colore della pelle.
Il filo che che divide l’analisi dalla critica è sottile. E in questo Gaba è un Maestro (proprio con la maiuscola), che alla didascalia preferisce di gran lunga lo stimolo al pensiero. Il rammarico chiaramente non fa che aumentare. Se non venisse dal Benin, il suo lavoro avrebbe quelle “misere” quotazioni? La risposta è semplicissima. E avvilente.
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