Sopravvivere, a volte, è restare in scia, nella traccia cosciente di chi ha già preso l’orizzonte. Vivendo un futuro di per sé irrimediabile. L’anello senza soluzione di questo cerchio mortifero si ritrova ovunque nelle opere di Silvano Tessarollo (Bassano del Grappa, 1956). In mostra sono esposte sei sculture, tre delle quali assemblate in un trittico, e un video che le riassume.
Dal pavimento degli spazi crescono sei centri senza centro, sei basi circolari che raccolgono la morte per gioco. O quel che ne rimane. Le sculture sono composte da giocattoli, passione personale dell’artista, assemblati con cera e cartone. Sotto i fasci di luce, gettati dai faretti di galleria, queste intricate reti d’ossa luccicano. La cera è un rivestimento che imprigiona, appesantisce e, in un certo senso, restituisce un incarnato a chi non lo possiede più, donando, in questo caso, un’aura putrescente. Le composizioni sono rappresentazioni distorte, cartoonizzate, sono cataste nodose d’ossa e brandelli di carne. Resti umanoidi che a volte sembrano crescere dalle proprie basi, e altre volte, temporaneamente liquefatti, sembrano farvi ritorno.
Nel trittico di sculture che dà il nome a questa personale (Umano è il nostro cielo), Tessarollo crea un’aiuola di morte: lunghi filamenti piliferi, erbacei, che fanno spuntare, dal basso verso l’alto, scheletri ingigantiti. Di queste incomplete strutture ossee sembra facile intuire il movimento. La leggerezza dell’anima di cartone, infatti, e la schiacciante pesantezza della patina, provocano un dinamismo statico che contamina tutta l’area circostante. L’aria è raggrumata e si ferma male nel palato, ispessendosi attorno all’ugola. La mano di chi osserva, strano a dirsi, non prova repulsione, ma al contrario, viene tentata di accarezzare. Nell’orribile, sottile, bruciatura di questi corpi, feti esplosi dalla crescita smisurata delle proprie impalcature ossee, si fa largo una dolcezza grottesca che cattura.
Il tema del gioco con le sue caricature rigonfie fa di queste sculture uno scherzo serio, una rappresentazione senza immagini, sciolta e risciolta nella burla. In Nessuna ombra su questa terra protagonisti sono gli animali, un suino ed un equino. Quel che rimane delle loro forme, appiccicato alle carcasse ancora in vita, sembra scarnificare l’anima anima-le. In questa composizione l’artista sembra divertirsi a mescolare nella cera pigmenti dalle intensità più calde, donando l’effetto da lunapark dell’assurdo. Ossa che reggono una mela candita, colata nel caramello. In questa serie, la base, cioccolatosa, schiaccia a sé quel che resta delle fatiche di avere un corpo. La gravità, impressa nel punto delle sculture, sembra pressurizzare, spingere, con forza i soggetti. Il tempo al termine per la coppia animale ingloba a sé i corpi sgonfiati, sorpresi da un profumato bagno lavico. Nel complesso quel che stupisce sono gli equilibri e i bilanciamenti delle pose, estrinsecamente sottili e raffinati, benché l’effetto fumettistico dei colori e delle smorfie smorzi notevolmente l’effetto dinoccolato dell’intera struttura.
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