Le
Reflections sulla città di Milano di
Mihailo Beli Karanovic (Vrsac, 1980) sono l’esito maturo di circa due anni di ricerca dopo i
Bridges belgradesi e le prime vedute milanesi. I suoi attuali soggetti sono monumenti cittadini: le Colonne di San Lorenzo, Piazza XXIV Maggio, Santa Maria delle Grazie, i caselli di Porta Venezia. I suoi, però, non sono gli schizzi di un pittore straniero appena giunto in Italia e desideroso di immortalarne le opere tanto studiate.
Karanovic si è ormai trasferito dalla Serbia a Milano da alcuni anni, si è appropriato della città e ha interiorizzato le sue vedute urbane. Quelle che propone non sono copie dal vero ma immagini rielaborate attraverso il filtro dei suoi pensieri. Per questo, di là dall’aderenza del singolo monumento al reale, che lo rende riconoscibile all’osservatore, ogni altro elemento dell’ambiente urbano è sradicato o trasformato. Sullo sfondo, solo vaghi accenni ad altri edifici -lontano e fumoso ricordo-, svanisce ogni elemento di disturbo al godimento estetico, alla contemplazione. Solo, al centro, il monumento recupera la sua funzione di icona, la propria forza evocativa.
Tutto intorno dominano luce e colore, spesso riflessi dall’acqua, quell’acqua del Danubio così familiare a Karanovic. A ricordarci che queste sono visioni scaturite dalla sua mente, però, l’artista inserisce sulle tele delle parole, frutto di una scrittura decifrabile soltanto da lui stesso, chiave misteriosa del suo pensiero, la
Connection (titolo di un’opera) non svelata, scintilla della sua immaginazione.
Al collage con l’inserimento di elementi esterni, come gli scontrini nelle scene di Belgrado, si sostituisce dunque un assemblaggio/smontaggio tutto pittorico. Il monumento viene prelevato, decontestualizzato e proiettato nella realtà estranea della tela, amalgamato alle scritte e al colore steso con pennellate ancora più dense, che sembrano coprire, cancellare più che costruire. Sono proprio i grumi di colore e la scrittura quasi automatica che affiora sotto le pennellate a costituire ora
“l’action painting della sua arte”, l’energia, lo sfogo liberatorio dell’artista celato dietro la solennità, la fissità delle opere architettoniche. Scompaiono rispetto ai
Bridges le colate di colore rosso o nero, ne resta traccia solo in
Visioni, vera e propria pagina di diario visivo in cui le scritte sovrastano le immagini. Permane invece, il più delle volte, la scritta in cirillico, realizzata con l’inchiostro rosso corposo dei timbri postali, stampigliata sulla tela, a suggerirci il luogo di queste scene o il titolo di ogni opera-pagina.
Le linee che individuano il punto di fuga si fanno qui meno rigide, quasi sempre tagliano trasversalmente la tela, rendendo la costruzione prospettica meno fredda e obiettiva, più meditata e partecipe. Il taglio obliquo crea inoltre un effetto di movimento che rievoca il flusso dei pensieri allo scorrere delle immagini.