Una Britney Spears inespressiva e trascurata, un Adrian Brody dallo sguardo indifeso, un Brad Pitt dal volto pulito. Questi alcuni dei personaggi scelti da Martin Schoeller per comporre la sua galleria di tipi umani, in mostra a Milano. Nato in Germania, ma volato ben presto negli States -dove inizia a lavorare come assistente di Annie Leibovitz-, il giovane Schoeller è un astro nascente della fotografia (nel 1999 ha ricevuto il premio Alfred Eisenstead Award for Best New Talent), corteggiato dai magazine più patinati. Da Rolling Stone ad Us, da Interview al New Yorker, sulle cui pagine nel ’99 diventò il successore del leggendario Richard Avedon.
I servizi di Schoeller hanno riscosso grande plauso, colpendo per la forza espressiva e l’impatto visivo.
Fragili, sbalorditi, incerti. Così si mostrano i suoi vip, intrappolati da un obiettivo impietoso, che indugia sui particolari del viso che tutti vorrebbero nascondere: pori, rughe, peli, asimmetrie. Il fatto che Schoeller non ami particolarmente le celebrità che si trova a fotografare -come lui stesso scherzosamente ammette- è forse il motivo che lo spinge a non indietreggiare di fronte a difetti e imperfezioni (solitamente celate da strati di cerone), bensì a metterli in evidenza. Bloccati in un primo piano, ottenuto con il restringimento massimo del campo visivo fotografico -chiamato appunto close up– i suoi personaggi, privati del misterioso alone di cui solitamente si ammantano, diventano semplici individui. Annoiati, intimoriti o spaventati.
Formatosi nel solco della tradizione tedesca, dove è forte il modello dei Becher che, nell’immortalare fabbriche in disuso e aree industriali hanno radiografato la Germania, Schoeller ci offre dei ritratti che nella loro nuda oggettività sanno raccontare la caducità della vita umana, offrendo una visione quanto più lucida della realtà. I suoi primi piani cercano di raccontare, infatti, chi si nasconde dietro ad un musicista come Sting o a un capo di stato come Bill Clinton. Cosa può provare la perfetta Angelina Jolie o il macabro Marilyn Manson. Inchiodati da luci al neon che mettono in risalto la forza (in)espressiva dei loro occhi -un uso delle luci che appartiene alla tecnica cinematografica-, sorpresi da flash improvvisi che in pochi istanti colgono inediti sguardi, i vanitosi protagonisti dello star system internazionale vengono penetrati nella loro corazza, mostrando un io a lungo nascosto.
giovanna canzi
mostra visitata il 22 novembre 2005
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ma non potevate mettere marilyn manson invece di clinton? cmq roba banale abbiamo capito
OK OK!
Che brutta mostra!!!