Inaugurazione di notevole forza emotiva per la nuova sede meneghina della Prometeogallery di Lucca. Si potrebbe pensare che sia una scelta sin troppo facile quella di aprire i battenti con il Leone d’oro come giovane artista all’ultima Biennale Regina José Galindo (Guatemala, 1974). Ma davanti all’intensità della performance inaugurale il dubbio viene fugato. E’ un’azione sobria e tesa. Seduta con compostezza, la Galindo si incide sulla gamba la parola “perra”, che significa cagna, puttana. C’è un’aura religiosa; l’artista fa pensare ad un’icona mariana, con i capelli sciolti, la mano tremante e la compassione che traspare dal volto nel momento della ferita. Il gesto riesce nell’intento di trasmettere al pubblico lo scherno e il dolore. La sensazione sulla pelle di una condizione di frustrazione e silenziosa sopraffazione.
L’idea della performance proviene dalla riflessione sulla drammatica condizione della donna in terre sopraffatte dalla violenza. “Cagna, morte alle puttane, odio le puttane. Questo scrivono sul corpo delle donne uccise”, spiega la Galindo. “Le uccidono, le spogliano e poi sfregiano il loro corpo incidendolo con un coltello, scrivendoci sopra ogni genere di insulto.”
Come gran parte dei suoi colleghi sudamericani, anche Galindo sembra non poter prescindere dal tema politico, dalla denuncia e dalla responsabilità sociale: “Essere guatemaltechi vuol dire essere mezzi-politici. Significa aver conosciuto dittature, continue violazioni e violenze. Le dittature militari sono qualcosa che percorre la nostra storia e con cui viviamo.”
In quest’ottica vanno riviste anche due delle performance apparse alla Biennale di Venezia e videoproiettate in galleria: Quien puede borrar las huellas? (2003) (chi può cancellare queste impronte?) e Imenoplastia (2004).
Ma aldilà della critica di un dramma culturale come quello della condizione femminile, occorre evidenziare, nell’opera della giovane artista guatemalteca, un aspetto più intimo. Come spesso succede nelle performance, esiste in fondo la necessità di esorcizzare una sofferenza personale. Condizione che diventa stimolo necessario, incoraggiamento e giustificazione. “Quando ero in Guatemala, fino ad un anno fa, vivevo nel continuo terrore di essere uccisa. Pensavo che prima o poi avrebbero ucciso anche me. Volevo portare quella parola con me, come un tatuaggio”, dice riferendosi alla performance appena conclusa. “Dietro c’è un aspetto morboso, ma anche un aspetto ludico. Ora che ho questa cicatrice, se mi uccidono e poi vorranno incidermi, vedendo che gli ho anticipati penseranno che gli ho facilitato il lavoro”.
Diverse forme artistiche tipiche negli anni Sessanta e Settanta stanno vivendo un momento particolarmente felice oggi in America Latina, rinnovandosi nel genere e arricchendosi di significati nuovi. Che si formano in relazione alla diversa latitudine e al mutato contesto sociale. Gli sviluppi di queste sperimentazioni, talvolta particolarmente interessanti, sono il campo di analisi privilegiato di questa nuova galleria, che vuole porsi come punto d’osservazione privilegiato di tali tendenze. La nuova sede della galleria lucchese in terra lombarda in questo senso parte sicuramente bene, peccato che dopo la performance rimangano solamente una serie di foto ben esposte e un paio di filmati -fatta eccezione per Vertigo– già visti in Biennale.
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chi non sa, perche non conosce, perche non ha letto, non ha visto, ne sentito, forse farebbe megliore figura tacendo.
Nessuno ci ha chiesto ne ci obbliga a opinare di tutto e tutti. Continui disteso sul suo comodo divano eurocentrico, illuminandosi (non d'immenso) dalla tenue luce che fa la sua lampada anni settanta, ansi ne cerchi altre, ne troverà, vedrà...ma :shhhhhhh !
la galindo....no la galindo no ...ma avete ancora nostalgia anni 70?
lei che si depila e passeggia per venezia nuda ...lei che si fa' operare e banalmente sappiamo cosa... lei che passeggia con la tinozza di sangue...basta...basta...ma che dolore ...ma quanta retoricaaaaaaaaaaaaa.
ma del resto ... tutto il resto sta tornando pateticamente indietro e moda e business.
anche io ho comprato una lampada anni 70 che e' una favola.
per carità: il messaggio "serve", l'arte vera invece non serve mai
non serve nel senso che non è "serva" (nemmeno di ciò che dice)
se il problema è il messaggio basta mandare un telegramma...o un sms...
in principio non sono contrario alla performance come gesto artistico, il problema è che nel caso della Galindo questo non riesco a vederlo, ma allora i bonzi che si davano fuoco non compivano gesti analoghi a questi? dov'è l'arte? qui vedo solo la protesta...la stessa Abramovic di Balkan Baroque non si era limitata a un gesto politico ma aveva creato una composizione con una propria forza visiva e soprattutto che conteneva una parte estetica, lo so che BELLO è una parolaccia nel mondo dell'arte di oggi, ma se levi la composizione cosa rimane? In fondo la performance dell'Abramovic parlava di tutti i conflitti, qui si concentra su una situazione specifica che se dovesse essere superata renderebbe anche inutile il gesto dell'artista e quindi francamente dimenticabile...e allora provoco:lavoro effimero!!!
Come copiare Gina Pane e vincere un Leone d'oro alla biennale di Venezia !!! Vergogna !!!
Lavoro effimero. Buono per gli effimeri. C'e' chi ci va a nozze perche' puo' sfogarci le sue frustrazioni da primo mondo. Se non c'era se la inventavano... forse non c'e'.
sono daccordo con morimura...ogni tanto si deve dire basta !
artisti tremate le peformer anni 70 son tornate.
A me e' piaciuto il video dove lei si depilava e nuda camminava tra i veneziani ... ma per pieta'.
una vera protesta e' rifutare l'invito della biennale di venezia !
Caspita, ho dato la stura a qualche commento intelligente??? è una sorpresa piacevole, da queste parti! bravo Morimura, sottoscrivo tutto, anche Shirin Neshat veicola un messaggio, ma la sua opera è sublime in sè, è baciata dall'"aura", direbbe W. Benjamin...
Questa è solo cronaca...