“
Abitare è essere dovunque a casa propria”. Non faremmo un torto a
Ugo La Pietra (Bussi sul Tirino, 1938; vive a Milano) se giudicassimo tale aforisma un limpido esempio di comunicazione creativa: artista, designer, architetto, film maker, musicista, fondatore di pubblicazioni periodiche, La Pietra ha attraversato e attraversa con stile proteiforme le variegate applicazioni della creatività, considerandosi un ricercatore nelle arti visive e non solo, dal momento che è anche clarinettista. La Fondazione Mudima dedica un’ampia retrospettiva -copre un quarantennio di attività- a un artista cha ha esposto, fra l’altro, alla Biennale di Venezia, al MoMA e al Centre Pompidou.
Lo slogan citato in apertura rappresenta l’epitome de
La riappropriazione della città, manifesto programmatico da Internazionale Situazionista datato 1975 e tradotto nell’installazione
Paletti e catene del film
Interventi urbani per la trasformazione della città di Milano. Dar conto della compenetrazione di spazio pubblico e spazio privato per ri-territorializzare un paesaggio urbano percepito come limite allo spontaneismo e alla vitalità creativa. Dice l’artista: “
I luoghi in cui viviamo ci vengono continuamente imposti, in realtà lo spazio in cui operiamo può esistere solo come modello mentale che viene modificato continuamente dall’esperienza. Occorre cercare la forma che nasce dalle nostre esperienze invece che dagli schemi imposti”.
Che fare? Abolire la barriera fra le suddette categorie spazio-comportamentali, compromettendole. Figura di spicco della stagione milanese “
sessantiana” con il Gruppo del Cenobio –
Sordini,
Verga,
Vermi e
Ferrari-, La Pietra passa attraverso la sperimentazione informale (
Per un minimo sperimentale simbolico), teorizza la dottrina del
Sistema disequilibrante con cui analizzare le condizioni ambientali e sociali in cui vive la collettività, applicandola poi all’intervento urbano con i progetti delle
Immersioni.
Dice La Pietra di disdegnare il timbro piatto dell’acrilico. Infatti, i lavori della stagione informale sono tutti oli su tela, molto materici e segnici. E, anche quando fa ricorso all’acrilico, il risultato finale è rappresentato da lavori pastosi e quasi tattili, che non sembrano affatto creati con tale medium.
Esempio: la serie vagamente surrealista di
Interno/Esterno (anni ‘70 e ’80) e
La nuova territorialità (anni ‘90 e 2000), dove il multiforme ingegno affronta in anticipo sui tempi l’antinomia global versus glocal occasionata dalla costituenda Europa unita anche con ceramiche -La Pietra è artista
in toto-, disegni e installazioni (
Europa Unita? ,
Europa divisa e unita,
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare). Cosa ne avrebbe detto Jacques Delors?