È dedicata alla città di Brescia e alla stessa sede ospitante la nuova mostra di
Alberto Garutti (Galbatie, 1948; vive a Milano). Cinque le opere, i “soggetti disegnati”, trame ornamentali e narrative, a creare un tessuto connettivo con la realtà sociale circostante.
Lo svelano i delicati fogli monocromi, veri
States of Purpose, tangibili dichiarazioni d’intenti che il visitatore è tenuto ad accettare come ricordo. Come pure le didascalie, titoli integrati alle cornici sul fondo. Quella di
Linea di 1 chilometro e 116 metri, fino al Municipio, ad esempio, dove una vitale “
accozzaglia” di segni evoca un fitto paesaggio, una composizione di futurista memoria di oggetti urbani, fili elettrici, rotaie di tram, strade. È la briosa vitalità del reale, la verità dell’esistenza umana che l’artista milanese vuole sofisticatamente indagare e svelare con uno sguardo “
critico, etico e amoroso” che, come da lui stesso dichiara, costituisce il vero fine dell’arte.
Impulso comunicativo e relazionale anche alla base dei suoi lavori d’arte pubblica degli ultimi anni, quando lo spazio cittadino diventa l’anticonvenzionale luogo ideativo ed espositivo. Come in
Nati Oggi, intervento sull’illuminazione legato al tema ancestrale della nascita, concepito per Bergamo e successivamente riadattato ad altre città del mondo.
Una versatilità del significato, quindi, che sottende anche queste opere grafiche, rinnovati graffiti urbani. Non più esibiti all’esterno, sul lato manifesto degli edifici, ma addolciti, ridimensionati nella domesticità, incorporati nel tradizionale formato del dipinto a parete. Qui è l’interno, l’interiorità dell’edificio il nucleo energetico dell’incontro tra spettatore e opera. La galleria è allora una riproposizione in tono minore della già rifiutata istituzionalità soffocante del museo? Oppure diviene rifugio intimistico nel privato della quotidianità abitativa?
La struttura espositiva diviene piuttosto l’aristotelica verità del mezzo, il fulcro dell’interazione tra il singolo individuo e la collettività. Non atrofizzabile però nella specificità di una sede particolare, ma proiettata universalmente verso la vastità e la totalità del vivere. La linea, il disegno sono dunque la proiezione bidimensionale di un filo: lo stesso di nylon che abbiamo visto al Magazzino d’Arte Moderna di Roma nel 2004. Una sorta di legaccio che colma una lontananza, che annulla la separazione. Ricorda all’uomo il suo essere parte di una pluralità, per non rinchiudersi in una rischiosa solitudine.
È l’arte, nella semplicità ed elementarità della forma grafica, a divenire la nobile ancella della memoria. Da non intendere come legame con un oppressivo passato, bensì come consapevole adesione al presente.
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scusate qualcuno mi spiega che cosa sono le opere esposte che non ho visto la mostra e non sono riuscito a capirlo?
thks