Fotografia Italiana riconferma la predilezione per l’utilizzo pittorico, espressivo, poetico ed evocativo, piuttosto che documentaristico, del mezzo fotografico. Allo stesso tempo, però, in questa mostra dal titolo di barthesiana memoria –
Camera chiara, camera oscura–
Luigi Erba (Lecco, 1949) mette a nudo i meccanismi, i procedimenti e i materiali del fare fotografie, anche nelle possibili relazioni tra mezzo digitale e analogico.
Ciò che più di tutto sorprende è il fatto che Luigi Erba riesca a smentire, tramite una nitida percezione visiva, il mito della fotografia come riproduzione del “qui e ora”, come frammento di tempo e spazio immobilizzato dallo scatto. Questo avviene tramite una sperimentazione delle tecniche che pare quasi curarsi poco dei risultati, almeno nel senso di qualità estetiche. Porta invece alla luce una serie di sguardi (fisico, dell’osservatore in generale, dell’obiettivo fotografico, dell’analisi in fase di sviluppo e stampa) che si scompongono e altrove si sovrappongono in luoghi e momenti diversi.
Nei quattro cicli esposti emergono molteplici elementi del linguaggio fotografico. Scatto e contatto diretto (di fiori, insetti), sovrapposizione su texture differenti, l’utilizzo di carta metallizzata contenuta in un volume di plexiglas, rendono
Panorami per insetti scenari onirici. Non a caso, a catalogo Roberto Mutti fa riferimento a una poetica di stampo surrealista.
In questa serie, così come in
Un luogo sull’altro, è esibita la linea separatoria tra i fotogrammi della pellicola, che dà un’ulteriore scansione spaziale all’immagine finale, sicuramente diversa da quella reale. Qui la pellicola, una volta utilizzata, è riavvolta e nuovamente impressionata con immagini diverse, colte in un altrove e in un tempo secondo, con risultati non prevedibili. Un effetto particolarmente intenso è così ottenuto nelle vedute veneziane, in cui all’immagine degli antichi palazzi si sovrappongono macchie e striature che restituiscono, amplificato, il senso della rovina della città decadente per eccellenza.
Altro aspetto assumono gli edifici in
Paesaggio dissolto, in cui Erba estremizza i processi di sfocatura e sgranatura, fino a mettere in discussione la riconoscibilità dell’immagine.
Torna anche nell’ultima serie (
Costruzione di un paesaggio) la relazione con l’ambiente, sia esso architettonico o naturale, centrato sugli elementi minimi o su più vaste inquadrature. In questo caso lo spazio è analizzato e rielaborato tramite la ripetizione: sullo stesso foglio sono stampati più volte gli stessi soggetti, sottoposti però a diversi tempi di esposizione sia al momento dello scatto che in camera oscura. Si delinea così la presenza di un segno sottile, che riprende le forme casuali di rami e staccionate, che costituisce piccole griglie, reticolati presenti simultaneamente come traccia di un luogo reale non visibile agli occhi dello spettatore.
Le immagini non hanno più nulla di naturale, sono sempre studiate e costruite. Sono la conseguenza dell’utilizzo di precisi procedimenti tecnici. Esaltate dalla scelta esclusiva del bianco e nero, giocano con la possibilità della propria sparizione: incompiute o in parte perse? La stessa riflessione può estendersi alla nostra modalità di visione e alla memoria di essa.