Un’ossessione che si ripete -la città, anzi, le città contemporanee- costituisce il nucleo centrale della mostra d’esordio di
Marco Palmieri (Napoli, 1969; vive a Milano), architetto lombardo d’adozione.
Il concetto è semplice ma ben articolato e, soprattutto, ben rappresentato. Il viversi accanto, quasi addosso, gli uni con gli altri, in una soffocante griglia metropolitana, che torna nei venti acquerelli in mostra, più i venti relativi bozzetti, anch’essi disposti a formare una griglia sulla parete all’ingresso della galleria. Come in un progetto architettonico, si passa dall’idea all’opera, dallo schizzo all’esecuzione.
Questi agglomerati urbani, guardati a distanza, formano un caos senza distinzione, allo stesso tempo ripugnante e attraente. Le variazioni sul tema sono espresse nei singoli soggetti dei lavori in mostra. Da
Non sono solo, pattern grafico di volumi urbani dalle prospettive sfalsate, a
Metà di nulla (Mediterraneo), con mezzo campo inferiore di colore blu marino e quello superiore con assembramenti dai tratti quasi portuali. Anche le cosiddette
Città ombra, quelle che vivono ai margini delle nuove megalopoli come Tokyo o New Delhi, sono rappresentate in tutta la loro precarietà urbana, statica ed economica.
Una riflessione socio-politica sull’attuale condizione del vivere comune, raffigurata tramite l’acquerello. Tecnica utilizzata non per velature ma per campi corposi di colore, stesi in maniera compatta però sfumata, quasi come se si trattasse di una tempera, scelta per contrapporsi al rischio di omogeneità cromatica dell’acrilico.
L’esercizio che l’architetto-artista Palmieri compie con questo lavoro è di dis-educazione architettonica: fissare dei pensieri per accantonarli e passare ad altro, lasciare dietro di sé alcuni concetti maturati per far spazio ai nuovi che arriveranno.
Accompagna la mostra un raffinatissimo catalogo, stampato -neanche a dirlo- su carta da acquerello. Il testo che lo illustra è uno degli ultimi scritti di
Ettore Sottsass, mentore di Palmieri. L’intensità di queste parole, scritte di getto dal maestro per l’allievo, è tale che meritano di essere citate: “
Spesso ci incontriamo con stanze vuote, silenziose, disabitate, come auto a motore spento, immobili lungo il parcheggio, aspettano qualcuno con la chiave giusta che possa mettere in moto il motore e trasformi quell’oggetto immobile e silenzioso in un’automobile. Le stanze vuote aspettano qualcuno con la chiave giusta che le metta in moto e le faccia diventare, forse, architettura”.