Morbide linee che avvolgono la
figura umana, dorate sfumature cromatiche dei tessuti, un ruotare stilizzato,
decorazioni geometriche, colori caldi, pochi punti il volto pallido, cenni di
lineamenti dalla vaga, distante malinconia, un ampio sole rosso di sfondo,
raffinata eleganza di foglie, di scrittura. È perfetta la scelta dell’immagine
che simboleggia la mostra, un mondo distante dalla ricerca preziosa che sa
incantare, caratteri diversi ai nostri sguardi d’Occidente, pure dal dialogo
limpido, aperto, possibile.
Non a caso, i tre secoli presi in
considerazione, dal periodo Momoyama (1568-1615) al periodo Edo (1615-1868),
segnano il passaggio alla modernità e insieme il confronto/scontro con altre
culture, nuovi contatti per religione, economia, politica. E sensibilità
estetica.
Questa, in particolare, la
meraviglia. Perché, mentre si apprezzano, nell’accurato percorso espositivo,
squisiti paraventi dai disegni delicati, una precisione speciale nel segno
grafico che è insieme, meravigliosamente, di assoluto realismo e astrazione,
esatti volatili, fiori sospesi nel nulla, emozionante sentimento della natura
carica di indefiniti, toccanti simbolismi, e così per i rotoli dipinti su carta
e seta, lacche e ceramiche; mentre si cerca di aderire dunque a quel mondo di
differenza, si colgono insieme stupefacenti affinità. Riconoscendo vaste
influenze nella nostra cultura, con ampi echi fino alla contemporaneità.
Piacevolissima dunque questa
mostra, vivibile a diversi livelli, con il piacere dello studio – ottimo il
catalogo per conoscere la storia, le trasformazioni nel tempo di questo paese
dai caratteri tanto forti, i mutamenti in atto tra guerre civili e l’ingresso
del cristianesimo, armi da fuoco e castelli – e per la speciale esperienza del
bello nel rappresentare terre abitate e battaglie, fiori e animali, figure
femminili e rapporti sessuali.
Con una particolare contiguità tra
dentro e fuori, specie per i materiali usati: legno, carta, stoffa, paglia.
Porte scorrevoli, rotoli e paraventi di paesaggi stilizzati, lavori dell’uomo e
corvi meditativi, barche all’orizzonte e calligrafie di poesie. Un sentimento
di vicinanza, intrecci complessi, tra filosofia zen, intimo sentire e sguardo
sulla natura.
Ottima la scelta dei versi
d’ingresso: “
Se al mondo / non esistessero / fiori di ciliegio / sarebbe più
tranquillo / il cuore a primavera”. Visioni che scuotono l’animo, confondendo spesso i
confini tra intime emozioni e immagini della natura, incontrando a tratti anche
stupefacenti purezze di segni, per onde e rocce ad esempio, una potenza di
linee straordinaria. Oltre ogni tempo e spazio geografico.
Molti sì anche gli oggetti
esposti: maschere, armature, ceramiche, kimoni. Elementi utili per conoscere,
riscoprire diversi saperi, dalla cerimonia del tè, gli interni delle case, le
forme del teatro Nō e Kabuki. Ma sono poi i gruppi di figure umane, la
ricchezza cromatica delle città, le ampie scritte che sono subito prezioso
disegno, presenze d’alberi e fiori e neve, questo limpido equilibrio tra
precisa descrizione e sospensione nel vuoto, come pensieri forti e indefiniti
nello stesso tempo, ad affascinare così intensamente in questo itinerario
artistico dove la tradizione dialoga serenamente con la contemporaneità.