L’iter creativo di
François Morellet (Cholet, 1926) dagli anni ’50 agli anni ’80 è ripercorso da A arte Studio Invernizzi, spazio per il quale l’artista francese ha inoltre realizzato un intervento site specific in cui la dimensione spaziale e il coinvolgimento fisico dello spettatore convivono simbioticamente.
Le opere di Morellet insistono su una pluralità di elementi e mezzi espressivi, che spaziano dal segno grafico alla scultura, dalla pittura all’installazione, come accade nei lavori al neon (realizzati sin dal 1963 ed esposti al piano inferiore della galleria), in cui agli acrilici su tela rigorosamente bianchi e quadrati si sovrappongono intersezioni di tubi emananti luce bianca che inscrivono segni grafici, il cui significato resta perlopiù inattingibile.
Il lavoro del francese è sempre stato fortemente contaminato dalla destrutturazione e dalla contraddizione dei tradizionali codici rappresentativi: basti pensare al sistema di costruzione prospettico, negato nel suo ruolo di mimesi e finzione. La prospettiva di cui Morellet fa uso non è più “
la prospettiva come forma simbolica” del Rinascimento che Erwin Panofsky aveva interpretato come strumento rappresentativo di una spazialità ottica che, illusionisticamente, coincide con quella reale, esprimendo così assoluta corrispondenza tra realtà e visione caratteristica d’una determinata epoca. Essa diviene, per fare eco alle parole di Francesca Pola, “
una modalità per sottolineare l’autonomia e concretezza del visivo come entità parallela e simmetrica, generativa e autonoma, rispetto alla realtà dell’universo in divenire”.
Ritorna, nelle opere di Morellet, il contrasto tra pieno e vuoto, positivo e negativo, interno ed esterno, singolo e molteplice; il tutto collocato in un orizzonte indefinibile, in una dimensione assoluta che è quella luminosa, intesa qui come fattore imprescindibile e costitutivo, non accessorio. La luce conferisce ai lavori una sensazione di pulsione tattile, un senso diffuso e vibrante d’instabilità che irrompe, ma che prontamente viene controllata e sottomessa alle leggi della matematica.
Le opere di Morellet, così ben strutturate, si emancipano da qualsivoglia retaggio espressionista, assolte dal compito gravoso di dover rappresentare o narrare, e allineate con tutto quanto vi è di minimale, essenziale, programmato, razionale. Le regole, tuttavia, non conducono, come sarebbe naturale pensare, a una costrizione, a una prigionia forzata entro leggi grammaticali, formali; l’impalcatura rigorosa non è d’ingombro o d’ostacolo alla libertà dell’artista.
Si tratta di una costrizione soltanto apparente, cosicché le strutture, i limiti, le leggi si fanno pretesti che consentono all’artista di evadere. E di affermare la propria libera autonomia.