Zaino
in spalla e via, pronti per partire. Ma
Andrei Roiter (Mosca, 1960; vive ad Amsterdam e New York) sulle
spalle ha deciso di portare un pesante cuore di legno, metallo e plastica (
Time
capsule). Niente bagaglio, solo
anima. Verrebbe da dire, effettivamente, che l’organo da cui dipende la nostra
intera esistenza è l’unico oggetto necessario per affrontare il lungo viaggio
della vita. E il turismo per Roiter è un vero e proprio stile di vita.
Senza
un itinerario prestabilito, l’artista russo viaggia per il mondo seguendo
peregrinazioni casuali e immaginarie. In ognuna delle sue flânerie s’imbatte in
relitti e oggetti abbandonati che poi restituisce allo spettatore,
trasformandoli con nuove aggiunte e significati simbolici. Libri usati e
polverosi, valigie sformate, fotografie scolorite:
quello di Andrei Roiter è un
campionario portatile di oggetti rubati al tempo che scorre.
Con
il fare di un vero e proprio robivecchi, l’attenzione dell’artista si posa su
tutto ciò che la società ha abbandonato e rifiutato. Roiter adotta uno “
sguardo
panoramico”, secondo la
definizione di Jean-Paul Sartre, uno sguardo privo di preconcetti borghesi e
che tende invece a considerare ogni cosa con occhi vergini e incantati. È per
questo che i souvenir raccolti nei suoi viaggi sono privi di qualsiasi valore
riconosciuto, non hanno un prezzo accettato dalla società capitalista
globalizzata.
Le
valigie sono bucate e consunte (
My suitcase), dagli altoparlanti risuona un silenzio irreale (
Silent
speaker). Tutti i trucchi del
mestiere sono chiusi in una scatola di cartone sfondato (
Ar’s Comedy tricks) che l’artista, un po’ attore e un po’ clown,
adopera per ritoccare e trasformare la realtà in maniera unica e surreale.
Nella
sua opera, i motivi tipicamente russi (simbolicamente rappresentati in mostra
da una pila di libri,
My russian luggage) si contaminano con stimoli e temi occidentali. Dal quartiere
periferico moscovita di Beljaevo, l’artista si è infatti spostato ad Amsterdam
e poi a New York, inframmezzando i suoi soggiorni con innumerevoli viaggi.
Così, lontano da qualsiasi tendenza definita e sistematica, distante da un
dettato artistico di scuola, il linguaggio di Andrei Roiter è fortemente
caratterizzato e personale. “
My profession is to be Andrei Roiter”, si legge in una sua tela del 1999. Niente di più
e niente di meno.
L’artista
ha piena consapevolezza del suo percorso come un unicum e ogni mostra diviene
un’affermazione della propria posizione individuale, isolata.
I Am è una delle opere in mostra, un assemblaggio di
diversi pezzi di legno che dimostra una forte presa di coscienza della propria
individualità. Perché ogni viaggiatore, sul cammino, cerca e scopre se stesso.
E ogni avventura è una nuova perdita e riscoperta di sé.