Racchiudere in una superficie pittorica un mistero millenario: impresa certamente non facile, soprattutto se non si possiede il pennello della sensibilità, della pazienza e della profondità interiore.
Doti non estranee all’animo di Le Groumellec, artista francese che, prendendo a pretesto tre elementi a lui familiari del paesaggio bretone (un megalite, una croce ed una casa), riesce a tessere un’immagine pittorica che, nel suo lato più arcano, pone anacronistici interrogativi.
Le masse schiaccianti di questi dolmen, avvolte dal silenzio di primordiali segreti, racchiudono un’assolutezza formale incurante di qualsiasi classificatoria definizione che limiterebbe, per banale inadeguatezza, l’implicita varietà, modulazione e frammentazione della loro esistenza stessa.
Un’“affascinante incongruità” che elude qualsiasi descrizione scientifica o letteraria, inquietante rivelazione di un linguaggio in grado di coniugare cielo e terra, vicino e lontano, minuscole figure ed illimitate distese.
Le Groumellec comprende che, per comunicare l’intoccabile dignità dei megaliti, non servono facili estetismi o svianti decorazioni, ma solo l’essenzialità di una forma, di un segno, di un colore in grado di esprimere l’estremo ascetismo di enigmi inviolabili.
Tramite una superficie pittorica densa e granulosa, un segno nero ed un monocromatico bianco, lucente nel suo
Mentre Friedrich, Cozens e Turner avevano tentato di rappresentare l’ineffabile significato del Sublime, e Malevic, Mondrian, Buren, avevano completamente decostruito la nozione di quadro, riducendolo ad un orizzontale e verticale, Le Groumellec vuole svelare con un semplice gesto pittorico quell’intraducibile messaggio che si nasconde dietro qualsiasi intellettualistica interpretazione, ribadendo la sacralità di un atto che, nella sua alchemica essenza, racchiude una forza sempre attuale.
Affascinato dalla ricerca di Brancusi, capace di elevare l’idea di scultura all’essenza di un volo, Le Groumellec supera il concetto di scena religiosa e, grazie ad una luce rivelatoria e ad una autonomia segnica, rielabora il linguaggio profano del megalite e quello cristiano della croce, sottolineando come gravità e spiritualità, arte e natura, luce e tenebra, possano trovare nella ripetitività di un gesto l’affermazione simbolica di una verità indecifrabile.
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Davvero suggestiva. Siete inimitabili!