Il percorso artistico di Marion Baruch è lungo e complesso. Nata nel 1929 a Timisoara, Romania, ha lavorato a partire dagli anni Novanta sotto lo pseudonimo di Name Diffusion, realizzando progetti artistici basati su esperienze di comunicazione collettiva che si sviluppavano attraverso l’utilizzo o il riciclo di materiali e oggetti di uso quotidiano. Nel 2012 ha inaugurato una nuova fase della sua attività, che vede l’utilizzo degli scarti provenienti dalle aziende di alta moda e prêt-a-porter. Si tratta di frammenti destinati alla discarica, ritagli prodotti dalle macchine utilizzate per tagliare i tessuti, scampoli inutili di raffinati abiti che grazie al lavoro dell’artista acquistano nuova vita. Come la legge del riciclo insegna, tutto può rivivere mutando la sua natura, rivelando nella sua nuova esistenza aspetti inediti e talvolta sorprendenti. Nell’opera della Baruch le stoffe non si presentano come assemblaggi informi o casuali ma evocano la forma di un quadro, di un oggetto, di una suggestione. Pittura, scultura, installazione e disegno convergono in un’unica forma che, come una membrana estremamente malleabile, ben si presta al cambiamento. Si tratta di opere leggere, che vestono come un abito lo spazio che le ospita. Tutto viene giocato sulla forma, rigorosamente geometrica e che non lascia spazio all’improvvisazione, perché la gamma cromatica è ridotta al bianco e al nero, oppure a qualche variazione sul grigio. Un gioco di pieni e vuoti, trasparenze e lacerazioni che evocano vulnerabilità e al contempo si pongono come una presenza decisa che invade discretamente lo spazio.
È molto forte il legame con la pittura e la scultura, come vediamo in numerosi lavori che si intitolano proprio “peinture”, pittura, come se l’artista aspirasse a stravolgere il suo stesso lavoro per ritrovare, nel linguaggio pittorico, piena soddisfazione. Oppure, nei lavori esplicitamente chiamati “sculpture” è la scultura a farla da padrona: una scultura ridotta alla condizione bidimensionale, ma che attraverso i suoi tagli vuole “sfondare” la bidimensionalità per raggiungere la quarta dimensione.
Altrettanto forte è il legame con la storia dell’arte e con gli artisti da lei amati: Lucio Fontana, Melotti, Beuys, Klee, Robert Morris e molti altri ancora. Maestri sicuramente, ma anche modelli da superare in un linguaggio che si basa sulla distruzione e successiva costruzione di una forma a partire da un materiale che altrimenti sarebbe rimasto uno scarto di cui liberarsi. Marion Baruch mette in scena un teatro in cui sono proprio i vuoti a parlare, a raccontarsi attraverso i loro squarci e i segni grafici delle sottili strisce di tessuto. È un teatro dell’assenza, una “mancanza”, come recita il titolo di questa mostra, a cura di Francesca Pasini: come tutte le cose, solo chi le ha vissute ne percepisce la nostalgia.
Daniela Ambrosio
mostra visitata il 30 giugno
Dal 24 maggio all’8 luglio 2016
Marion Baruch, Mancanza / Here and Where
Ottozoo, via Vigevano, 8 20144 Milano
Orari: martedì venerdì dalle 14:00 alle 19:00 o su appuntamento
Info: +39 0236535196, www.ottozoo.com