La sfasatura tra un’idea e la sua realizzazione, gli ostacoli che inevitabilmente, man mano che si procede, modificano i propositi iniziali. A pensarci un po’, si potrebbe fare della “Legge dell’ottava” di gurdjieffiana memoria – soltanto, da trasporre al mondo virtuale – una metafora pertinente al lavoro artistico di
Alison Mealey.
Programmatrice e interessata ai videogame, riunisce le sue passioni nel campo artistico-visivo, qui focalizzato e limitato al genere del ritratto, creando opere di
Unreal Art. È questo, infatti, il nome con cui ha battezzato il suo progetto, derivato da
Unreal Tournament, un efferato videogioco sparatutto di cui dev’essere un’appassionata giocatrice, visto che è posto alla base del procedimento compositivo delle sue opere.
L’artista segue i lineamenti fondamentali di volti umani ritratti in immagini fotografiche, creando delle mappe corrispondenti per uno dei livelli del celebre videogame. Le associa poi formalmente e cromaticamente – utilizzando un software open source di visual design scritto in processing – agli spostamenti e alle azioni che una ventina di bot compiono nel corso della partita. È però da notare come i bot, governati da intelligenza artificiale, in qualche caso possono anche non seguire le indicazioni pre-impostate, influendo così significativamente sulla realizzazione finale delle immagini.
L’intenzione di Mealey, che si riserva pur sempre il diritto di fermare il gioco quando l’immagine le appare soddisfacente (solitamente la composizione dura intorno ai 30 minuti), è proprio quella di ottenere una buona parte d’imprevedibilità, rendendo così il risultato molto più vario e intrigante. Per far ciò utilizza soprattutto
divine bots, personaggi speciali del gioco, più inclini a variare percorso e quindi più “intelligenti”, perché in tal modo si avvantaggiano durante la partita.
Le composizioni vengono in seguito stampate digitalmente su tela, con formati di varie dimensioni, definendole ognuna con una gamma tonale prescelta. Riescono a coniugare gradevolmente colore e grafica, solamente suggerendo i volti delle persone ritratte e a talora ricordando visivamente il popolare gioco dell’“unisci i punti”. All’interno di un progetto così elaborato, il risultato è seducente e tutt’altro che scontato, arrivando a creare complesse trame in cui, a seconda dei casi, è più o meno arduo scorgervi la figurazione.
Nonostante in galleria sia allestito uno schermo che rende possibile vedere il work in progress di uno dei ritratti, riesce difficile ricondurre a un sanguinario sparatutto i lavori su tela di Mealey. Eppure, è proprio grazie a questa virtuale violenza che prendono forma.