In un’inquadratura soggettiva, una pallottola esce dalla canna di una pistola. Segue una prospettiva laterale, che al rallentatore ne visualizza il percorso. Fino a quando schianta un orologio da parete, posto a pochi centimetri da una persona inerme. Sembrerebbe una riproposizione, con poche varianti, della famosa performance
Sparo (1971) di
Chris Burden. È invece parte di uno dei video che compongono il trittico
Performance #1,
#2,
#3 di
Karin Kihlberg (Gällinge, 1978; vive a Birmingham) e
Reuben Henry (Inghilterra, 1979; vive a Birmingham).
Nelle opere dei due giovani artisti c’è però una differenza sostanziale: il video non documenta le performance come realmente sono avvenute, ma utilizza gli elementi propri del linguaggio cinematografico per alterarle in modo considerevole. Non è un caso che Reuben Henry, durante la visita in galleria, mi dica di non aver mai visto una vera arma da fuoco dal vivo. Eppure la sua arte ne è piena. E, in tempi di sovrabbondanza mediatica come i nostri, ciò la dice lunga su quanto può essere svincolata dai fatti la nostra percezione della realtà.
La realizzazione di queste performance, che propongono azioni ed elementi ricavati da artisti come lo stesso Burden, ma anche
Marina Abramovic o i futuristi, è in funzione del video che ne sarà ricavato: Kihlberg & Henry, infatti, lavorano molto in fase di post-produzione, creando un’estetica spettacolare e potente, che però poco ha a che vedere con quanto realmente è accaduto. Non documentano ma creano finzione, mettendo in risalto le possibilità illusorie di un mezzo come il video.
Ma si percorre anche la via inversa: in
Acting Dead (una recente serie di disegni anch’essi presenti in mostra), il passaggio dal mezzo cinematografico, che carica di pathos le scene di morte dei protagonisti di celebri film, alla dimensione grafica procura l’effetto di decontestualizzare e raffreddare il soggetto. A maggior ragione se la scelta è quella di ritrarre a matita soltanto le teste dei personaggi, isolandole sullo sfondo, quasi completamente bianco. Così, per esempio, non abbiamo potuto non rammaricarci per la morte di McMurphy/Jack Nicholson nel classico
Qualcuno volò sul nido del cuculo. Mentre il suo volto morente, disegnato su carta, rappresenta l’immagine assai meno vividamente, al limite funzionando come collegamento alla lacrimosa vicenda filmica.
Un’altra celeberrima pellicola,
Il padrino, fornisce la base per l’installazione sonora
The Editors Intervention. Il suono del passaggio di un treno è stato inserito, soltanto durante la fase post-produttiva, in una scena d’omicidio del capolavoro coppolaniano. Facendolo passare come elemento simbolico, oltre che diegetico, si è raggiunto lo scopo di aumentare il turbamento emotivo nello spettatore. Riproposto in galleria, a intervalli regolari di trenta minuti, lo stesso suono aggredisce e invade gli spazi. Così come le persone che, inconsapevoli, visitano la mostra.