Sempre più spesso gli artisti preferiscono vivere in luoghi che non sono i propri Paesi d’origine e sviluppare la loro ricerca creativa in nazioni differenti da quelle in cui hanno vissuto. A volte, però, è la necessità di scappare da una realtà insostenibile che li rende instancabili viaggiatori. E ciò accadde ad
Aghim Muka (Fieri, 1965; vive a Milano) che, arrivato in Italia dall’Albania nel ‘95 nascondendosi in un camion, decise di fermarsi nel capoluogo lombardo.
Il ricordo della difficoltà del passaggio dalla clandestinità al riconoscimento legale con l’ottenimento della carta d’identità italiana è presente in
Mehak e nelle altre opere esposte a ottobre alla Galleria Sacerdoti per il primo appuntamento del progetto site specific
Ordine caotico/Clan-Destino e che ora prosegue da MyOwnGallery nell’ambito dell’iniziativa
(con)Temporary Art.
I lavori di Muka, tra cui soltanto
La Sposa turchese e
Cervo sono stati selezionati per entrambe le occasioni, parlano soprattutto della potenza dell’incontro tra culture diverse e dell’interazione fra popoli che, in un mondo ormai globalizzato, dovrebbero sentirsi più vicini e disposti a cooperare per creare una società fondata sulla convivenza e sul rispetto. L’artista, però, fiero di essere albanese pur sentendosi allo stesso tempo cittadino del mondo, è consapevole che l’incrocio delle varie identità non sempre si risolve pacificamente.
Per questo motivo lavora le tele, le buca, le usa come superfici su cui lasciare la sua “scrittura automatica”, facendo perder loro la bidimensionalità e trasformandole in supporti aperti alle suggestioni visive scaturite dalla multiculturalità che gli appartiene. Muka racconta così storie di uomini e donne che, pur essendo al di fuori del tempo, si potrebbero ambientare in qualsiasi Paese del mondo. Per l’artista, infatti, tutti gli esseri sono ugualmente attratti dalla madre Terra sulla quale ognuno vive in precario equilibrio, come suggerisce anche la scultura in vetroresina trasparente raffigurante un uomo, che rimane sospesa nel vuoto all’interno degli spazi di MyOwnGallery.
In omaggio al Mahatma Gandhi, alla forza del suo pensiero non violento e alla sua umanità, l’artista presenta anche alcuni quadri raffiguranti donne di origine indiana che, nonostante la precarietà della loro vita da immigrate, sottolineata dall’uso di pastosi colori dalle accese tonalità, oltre che dagli innesti di frammenti di oggetti d’uso quotidiano, mostrano in un mutismo quasi religioso l’affermazione di sé come individui in un Paese straniero.
Ai disagi della condizione di clandestinità è dedicato infine
No Comment, in cui il soggetto della tela è il Ministro dell’Interno Roberto Maroni, cui l’artista ricollega il fiume di polemiche sorto per la decisione di rendere parte integrante dell’ordinamento giudiziario italiano il reato d’immigrazione clandestina.