Un Festival che cresce, in tutti i sensi. Un Festival che non tratta solo di film (corti e lunghi, di qualità sempre più alta), ma che propone alla città un modo di viverli sotto tutti i punti di vista, con proiezioni, incontri, dibattiti, laboratori (anche per bambini), rassegne ed eventi, senza limitarsi a un unico luogo. Cuore della manifestazione il teatro Strehler, utilizzato, all’interno, per le proiezioni e trasformato, fuori, in uno spazio aperto in cui stare e sostare (a vedere un concerto, ad assistere a un incontro, a consultare riviste o comprare libri, e, perchè no, pure a bere qualcosa…). Poco lontano, il fossato del Castello Sforzesco -rivoluzionato e invaso da impianti audio-video- ha ospitato le sperimentazioni live media di tdk audiovisiva e del Salon des refusés, spazio dedicato ai non selezionati (dove il tenore delle opere presentate ha comunque confermato la qualità sempre più alta dei lavori che pervengono al Festival). E poi le Ex Cartiere Binda –night zone della manifestazione- e lo Spazio Oberdan con l’omaggio a Truffaut.
Vario il panorama dei corti. Accanto agli impianti narrativi più classici (ed a volte scontati), molte scelte ibride, che sembrano indicare una tendenza sempre più diffusa a sperimentare modalità di rappresentazione altre. Tra tutti si fa notare sicuramente L’evangile du cochon creole di Michelange Quay (premio miglior corto), un’opera in bilico tra visionario e documentaristico, tra immagini ancestrali e attualità, tra storia di famiglia e storia di popolo. Diversi poi i lavori che optano per una non facile assenza di dialoghi, affidando alle sole immagini la trasmissione del messaggio (dall’enigmatico e sottile Fill in the Blanks alla “lotta per la sopravvivenza” di By-pass), o si appoggiano a referenti noti, come accade nell’hommage multiplo di (untitled), in quello a Cartier Bresson di Z ulice o a Hitchcock di Bodega Bay School. Altri ancora mescolano le carte, alterando la linearità temporale e narrativa (come accade in 1982, Door to Door o Kismet) e –intanto- si divertono ad attaccare in maniera ironica i media, portandone al parossismo i mezzi espressivi e le modalità di intrusione nella vita dell’uomo medio (Zwölf ½ Minuten, What the, L’axe du mal).
Non mancano i lavori prettamente videoartistici basati sulla manipolazione dell’immagine, con insistenza particolare sull’ambiente esterno (Adrift, Egotrip, Digitalsnapshots-Momentmanipulationen von Raum Ort und Zeit). Ma il vero spettacolo della visione alternativa è tdk audiovisiva. Quest’anno, più dell’anno scorso, il palco ha ospitato diversi artisti italiani, tra cui amonitorspento, Pixel Orchestra e Retina.it/Claudio Sinatti (presenti con un’ampia intervista sul numero appena uscito di Exibart.onpaper). Tra gli stranieri l’olandese Eboman, con un vulcanico cut ‘n’ mix su pezzi hip hop e sui relativi video, i tedeschi Modeselector, dal particolare sound “Techno Rap/Happy Metal” e Pfadfinderei, collettivo video che mixa riprese e grafiche vettoriali, e l’inglese Scanner, che con 52 Spaces, omaggio video e sonoro all’Eclissi di Michelangelo Antonioni.
Tutto bene? Non proprio se si pensa all’avventura delle Ex Cartiere Binda. Dopo aver funzionato tutta la settimana come Padiglione Notturno del festival, sono state bloccate (per dei banali controlli…) la sera della festa di chiusura…
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