La precarietà solca il mondo delle professioni, in special modo quelle legate ai linguaggi contemporanei.
L’Italia è un paese anziano, dove un dottore di ricerca ha trenta anni, un giovane designer quaranta, un giovane scultore, per pudore, under quaranta. Una veloce lettura di questo dato avvalora la scelta di occuparci di un giovane stilista, bravo, umile e non uscito da qualche scuola inglese con il pedegree griffato.
Albino D’Amato è romano, ha trentuno anni e da almeno due è oggetto dell’attenzione degli addetti ai lavori più meticolosi. Lo incontriamo allo Studio Next e subito ci colpisce la sostanziale semplicità del suo aspetto.
La moda è l’ultimo approdo al quale Albino è giunto dopo aver esercitato fatica e passione sia nel campo dell’architettura che in quello del disegno industriale. Ha studiato architettura a Roma e poi, per un anno, design a Torino, dove ha lavorato con quello che fino all’altro ieri era una delle eccellenze della ricerca progettuale, il centro stile Fiat.
Queste esperienze hanno consolidato la sua capacità di disegnare e la sicurezza del gesto.
Trasferitosi a Parigi, di anni allora ne aveva venti, frequenta dei corsi di stilismo presso l’École de la Chambre Syndicale de la Couture. Da qui comincia il suo percorso nel mondo della moda. Nell’albero genealogico di Albino non ci sono aziende di famiglia o sorelle con la passione del taglio&cucito, eppure il ragazzo un pò architetto un pò designer, comincia a lavorare per Emmanuel Ungaro.
La diversità del background che per certo si è rivelata un sensibile differenziale, Albino la interpreta come un penalty variabile, forse legato alla cronologia d’ingresso sulla “piazza”. Affianca all’impegno in maison collaborazioni e consulenze sia in terra di Francia che a casa. Prima con Guy Laroche, Lolita Lempicka ed Emilio Pucci, poi, una volta rientrato in Italia, con i big Dolce & Gabbana e Giorgio Armani.
La moda disegnata e marchiata Albino nasce nel 2004, anche grazie all’aiuto del suo socio in affari Gianfranco Fenizia, di professione interior designer. Nel 2005 arriva la vittoria al concorso indetto da Vogue e dalla Camera della Moda “Who’s On Next?”: questo determina una notevolissimo aumento di lavoro e visibilità del marchio, ma anche imposto una maggior qualità del servizio.
Ma parliamo di prodotto. In passerella Albino mostra una donna rigorosa, esprimendo la tensione alla perfezione tipica del mondo che aveva frequentato a Roma e Torino. Limitare il dettaglio è una regola aurea, e il suo metodo caparbio prevede il seguire le idee fino in fondo, senza ripensamenti, radicale. Nei vestiti di D’Amato non c’è nostalgia, ma ammirazione del passato. L’ansia del non dimenticare, del rivedere generi e stile.
La capacità di rielaborare gli stili del costume lo portano ad ammettere con onestà intellettuale e professionale candore il rispetto e la stima verso gli anni ‘80 di Romeo Gigli e il lavoro di Ghesquiere per Balenciaga.
Alla nostra richiesta di individuare una comunità di riferimento, Albino non nasconde l’amore per la musica e per l’arte contemporanea, e allora ecco i nomi di Morrisey, Kate Bush, Depeche Mode, e poi Mapplethorpe.
Alla fine ci congediamo tra un denuncia e un desiderio. “La moda deve ritornare al sogno, allo stile, basta con quei giornali pieni di ragazze su set improvvisati e vestiti di magliette…”. Mettendosi a pensare ed a lavorare sulla sua prossima collezione Uomo, Albino ci saluta così.
Gioco, partita, incontro: largo ai giovani!
M2
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 30. Te l’eri perso? Abbonati!
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