Il tuo lavoro di stilista è contrassegnato da un simbolo speciale: *+*. Puoi spiegare che cosa significa?
StarPlusStar. Nella vastità dell’Universo può capitare che due corpi celesti si avvicinino a tal punto da fondersi insieme. La stessa cosa può accadere anche tra due persone. Per esempio a me…
Per la collezione primavera/estate 2007 hai tratto ispirazione da differenti fonti storico-mitologiche. Che cosa ti ha fatto propendere per questo post-moderno Omaggio al grande Mito della Moda?
Mi sembrava interessante sondare le origini dell’Umanità ed immaginare alcune possibili evoluzioni dei miti nel mondo contemporaneo. Il risultato? Al giorno d’oggi Era divorzierebbe dal marito Zeus, il quale potrebbe a sua volta lottare per ottenere un pacs con Ganimede, invece di rapirlo sotto false spoglie. Nel 2007 Dafne, al posto di attraversare i secoli camuffata da albero, denuncerebbe le molestie di Apollo. I miti sono alla portata di tutti. Creiamoli.
Disegni per un particolare tipo di pubblico?
Per la realizzazione del nostro lookbook abbiamo utilizzato tre modelle di età differenti: 20, 30 e 70 anni. Questa scelta è stata effettuata per veicolare un messaggio preciso: i vestiti non sono ad uso esclusivo delle ragazze giovani, bensì sono a disposizione di tutte le donne che, a prescindere dall’età anagrafica, hanno voglia di esprimere sensualità e di giocare con la propria immagine. Ed ecco che il mito del “guardaroba che ti accompagna in eterno” prende vita. Riguardo alla mia collezione Diane Pernet ha detto: “He feels that older women need more options”.
Prima di avviare il marchio che porta il tuo nome, hai mosso molti passi nel mondo della moda. Tutto è cominciato con i tuoi studi: com’erano gli anni ’90 presso il Fashion College di Belgrado? E il periodo alla Royal Academy of Fine Arts di Anversa?
Mi sono divertito moltissimo, sia a Belgrado che ad Anversa, nonostante abbia dovuto lottare per poter portare avanti i miei progetti per il futuro. La guerra in Jugoslavia è stato il periodo più difficile: grazie all’ammissione alla Royal Academy sono sfuggito a quell’orrore, anche se abbandonare la mia famiglia ed i miei amici in quella situazione non è stato semplice. Fortunatamente ora tutto è passato. Belgrado ed Anversa mi hanno dato molto e ancora oggi continuano ad influenzare il mio lavoro e la mia creatività.
Nel 2002 hai iniziato a lavorare per Mina Poe. È stato semplice rapportarsi con il mood bohémienne della maison?
Non ho incontrato particolari difficoltà. In fondo la vita bohémienne parigina si sposa perfettamente con la malinconia dell’Est.
Successivamente hai trascorso un anno nelle scuderie di Roberto Cavalli. Che cosa hai imparato da questa esperienza?
Mi ha dato moltissimo. Attraverso questa azienda ho avuto la possibilità di lavorare con artigiani altamente qualificati, di utilizzare nuovi materiali e di sperimentare tecniche diverse.
Un esempio?
Ho realizzato una giacca interamente ricamata con perline di corallo rosso: l’impatto visivo e tattile era impressionante. Unico difetto: il peso.
Per le collezioni donna di Roberto Cavalli ti concentravi proprio sulla maglieria e sui ricami, data la tua esperienza nell’esecuzione di prodotti artigianali come il pizzo, l’uncinetto ed il macramé. Secondo te, qual è il valore di un pezzo hand-made al giorno d’oggi?
Il lavoro artigianale ha un valore inestimabile. Un prodotto eseguito a mano non è solo sinonimo di alta qualità, ma rimanda alla memoria di un Paese. È bello pensare che una tecnica sia stata tramandata di generazione in generazione, di padre in figlio. L’acquisto di un capo hand-made non appaga solo il gusto estetico, ma contribuisce a mantenere viva una tradizione.
Nella tua carriera hai creato anche costumi per spettacoli teatrali. Ricordi qualche allestimento in particolare?
Ho lavorato molto in teatro ed ho avuto soddisfazioni. Sicuramente quella di cui vado più fiero è la collaborazione col BITEF di Belgrado. È uno dei festival di teatro più vecchi al mondo, fondato nel 1967. Vi hanno partecipato registi, compagnie e attori di fama internazionale, tra cui Grotowski, Bergman e Beckett.
C’è differenza nel creare abiti per il teatro e per le persone comuni?
Molte differenze. Creando capi per la vita reale si ha la possibilità di entrare nel dettaglio, mentre nel teatro i particolari sono quasi insignificanti, poiché nessuno ha la possibilità di avvicinarsi. Inoltre, disegnare un costume per un personaggio teatrale significa studiarne, attraverso il testo, la personalità, mentre quando si crea una collezione per la vendita in showroom, si può solo ipotizzare quello che sarà il cliente finale. In un certo senso è come comparare la certezza e l’incognito. Ognuno la pensa come vuole: a me piacciono tutti e due.
a cura di marzia fossati
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 37. Te l’eri perso? Abbonati!
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