Dai lei interrogato, Issey Miyake le rispose che riteneva l’abito un mistero. Che cos’è per lei un abito?
Gli animali non si vestono. Gli uomini si sono inventati abiti, trucco, monili, tatuaggi. Sono un “intervento” sul nostro corpo, una spontanea body-art. Sono i segni della nostra diversità, sono lo strumento per comunicare agli altri chi siamo e cosa vogliamo, sono un linguaggio silenzioso che parla per codici, alcuni immediati, alcuni più sottili e misteriosi.
Come avvenne il passaggio tra il suo dedicarsi alla moda editorialmente e il suo indagarla attraverso la scultura?
Ho vissuto per molti anni nel mondo della moda, creando e dirigendo giornali, frequentando i creatori di moda. Lì ho capito perché spesso le redattrici parlano di abiti “divini” e perché un vestito può far dimenticare i mille problemi quotidiani e portarti su un altro piano, facendoti sognare di essere divina per un’ora. In certi abiti senti la “creazione”, cioè il divino: io ho cercato di fissarlo in un’opera d’arte più definitiva di un vestito. È stato un passaggio naturale che covavo da lungo tempo, un ritorno alle mie origini e alla mia passione per l’arte.
Ricorda il primo abito che trasfigurò in opera d’arte? Fu ispirato da uno specifico capo di abbigliamento?
Da un folle abito da sera di John Galliano, ma avevo già fatto ricerche, all’inizio, prendendo in esame le forme di Versace, Dolce & Gabbana, Romeo Gigli e altri.
Quali sono gli stilisti da cui ha ottenuto gli stimoli maggiori per il suo lavoro?
Stilisti come Galliano, Miyake, Ferré, Capucci, Yamamoto mi emozionano sempre. Hanno sempre dei capi divini.
L’abito per giocare, l’abito da “idolatrare”, l’abito da/per ricordare. Come mai proprio queste tre chiavi di lettura per tematizzare il fenomeno dell’abito?
L’abito serve sempre per giocare, per inventarsi un personaggio come in tv, confondendo la realtà con la fiction ma, come ho detto prima, a volte ti solleva dalla vita reale, ti regala un momento di divinità. Quanto al ricordo, con i dress-memory ho voluto fissare l’abito nella materia, come fosse un reperto archeologico, sottraendolo ad una lettura e ad un destino effimero.
Dress-Ghost: abiti come fantasmi di che cosa?
I miei Ghost sono grandi abiti-scultura che vivono da soli. Come fantasmi giganteschi, magici, non hanno bisogno del corpo. Sono il ricordo del vissuto importante di una donna da sogno.
Lei vede nella moda “i riflessi del tempo, i mutamenti del sociale, le evoluzioni, le sperimentazioni, le contestazioni”: che cosa ci racconta la moda di oggi in merito ai nostri tempi?
Ci racconta molto meno di quando ho iniziato, del periodo “eroico” in cui tutto è cominciato. La moda dei Beatles e dei figli dei fiori era lo specchio di un forte cambiamento sociale. Oggi la moda è show, come tutto il resto. La fiction ha preso il sopravvento sulla realtà.
Lei si è soffermato, con il suo lavoro scultoreo, anche su composit e modelle. Crede che anche i canoni di bellezza contemporanei ci dicano qualcosa in più in merito ai nostri tempi?
Alcune delle mie opere sono state influenzate dai composit delle modelle, dal “campionario” di facce delle agenzie. Ad un certo momento non riuscivo più a riconoscerle. Tutte belle ed omologate. Oggi sono cloni di un unico modello, inventato. Tanto che ho smesso di riferirmi a loro.
Dress e Dolls: che relazione intercorre tra i suoi Vestiti e le sue Bambole?
I vestiti divini mi hanno fatto dimenticare i sentimenti. Sono stato preso dalle forme, e ho trascurato il cuore. Ho osservato le ragazzine: le bambole sono adolescenti che stanno diventando donne, ingenue e sfrontate, buffe e provocanti. Raccontano l’emozione di diventare vere donne.
Ha mai pensato di creare una sua collezione?
Sono stato un testimone ed un estimatore della moda. Appassionato ed entusiasta. Creare la moda è come fare il musicista o l’artista. Bisogna avere “quel” talento, essere pazzi – molto pazzi – ed andare fino in fondo. Amo i vestiti, ma ho preferito raccontarli, in un modo o nell’altro, piuttosto che farli. Sono pazzo anch’io.
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www.superstudiogroup.com
www.myowngallery.it
www.flaviolucchiniart.com
marzia fossati
bio: Chi è Flavio Lucchini? Nel 1961 progetta “Amica” per il Corriere della Sera e ne è nominato Direttore Responsabile Artistico. Dal 1966 al 1979 diventa Art Director di tutti i periodici di Condé Nast Italia: Vogue e i nuovi progetti editoriali, tra cui “Uomo Vogue”, “Vogue Casa” e “Vogue Bambini”. Nel 1979 torna al Corriere della Sera come socio d’opera e crea la casa editrice Edimoda per pubblicazioni di alto target moda. Crea “Donna”, “Mondo Uomo”, “Moda” e altre testate. Negli stessi anni apre Superstudio, centro di creazione e servizi per l’immagine. Nel 1990 avvia il suo atelier di scultura. Nel 2000 apre Superstudio Più, grande centro espositivo per arte, moda, design e vi trasferisce il suo atelier e l’archivio delle sue opere. Ora assieme a sua moglie, Gisella Borioli, gestisce la più importante e nota cittadella dell’immagine milanese.
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 39. Te l’eri perso? Abbonati!
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BRAVI!!! VOI SI CHE SIETE SOPRA TUTTO E TUTTI COME ANDATE IN GIRO A DIRE!!!