Dipinge gli abiti a mano, alla strenua ricerca di certi toni, di certe sfumature che con la stampa tradizionale non si possono ottenere. Applica alla moda la categoria di “opera unica”: anche un vestito può essere un
unicum e, in tal caso, rifugge qualsiasi accessorio supplementare che possa distogliere l’attenzione. Ama il colore. Le tinte ironiche del circo e di Minnie Mouse, così come i fondamentali, i colori primari degli antichi kimono giapponesi.
Ed è proprio attraverso l’uso del colore che, con la sua collezione primavera/estate 2009/10,
Roberto Musso strizza l’occhio a
Mark Rothko: con una serie di pennellate, dal prugna al giallo limone, che diventa pattern grafico per un semplice miniabito a sacchetto, per il capospalla alla garçon abbinato a un pantalone monocromo, di un rosso pieno, brillante. Nell’economia della sfilata, i motivi geometrici,
le soluzioni lineari e astratte di un leggero soprabito mollemente chiuso in vita dialogano con le stilizzazioni di temi naturali: grosse margherite fioriscono su abiti in twill di seta bianca e su morbide bluse, scelte in tonalità pastello, polverose, in chiarissime declinazioni di celeste e di verde acqua.
È così che prende forma quel minimalismo romantico che gli è stato attribuito e in cui lo stilista si riconosce pienamente, quel mood
new romantic che si traduce in una costruzione dei capi pulita ed essenziale, in tagli precisi e ben definiti sul corpo, in un look che accosta la mussola di seta al nylon techno, per sviluppare un discorso architettonico di pieghe, drappeggi, fasce e intrecci, tutti dettagli che contribuiscono a restituire l’immagine di una donna dolce e sensibile, per nulla androgina. Spigoli e angoli si alternano a “gusci” e ad archi: perché la moda è architettura, gioco di forme che si ottengono anche tramite il colore. Ora il collo di una giacca è morbido, a corolla, ora rigido, alla coreana. I pantaloni sono di taglio classico e lasciano le caviglie scoperte, mentre gonne e top giocano con il tessuto, indagando forme più femminili: dalla linea ad A della gonna in cotone doppiato color rosa camelia, all’effetto clessidra di certe maniche, passando per il motivo “a tulipano” di un top con fascia in vita e plissettatura sul fianco.
Ai piedi sandali ultrapiatti, calzari da “gladiatore” in versione fluo; in alternativa altissime décolleté e open toe platform.
A pervadere il tutto anche un certo modo nipponico, da sempre riferimento imprescindibile per Musso che, del resto, degli stilisti giapponesi e del loro approccio alla creazione, si era invaghito fin da studente, durante il suo periodo presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere della Sorbona, quando Parigi era nel suo massimo fermento, città modello per un lifestyle all’avanguardia e ricca di stimoli artistici. E proprio nell’esperienza parigina giace – a detta dello stilista stesso – la base della sua vocazione per il fashion design, vocazione che ha poi trovato la sua personalissima modalità espressiva durante la fase newyorkese, quando Musso s’innamora dei tessuti dipinti a mano e cambia totalmente il modo di concepire la materia prima per le sue creazioni, dando vita a una rara realtà artigianale in grado di conquistarsi una sua inusuale nicchia di mercato.
Artista e artigiano. Così si racconta Roberto Musso: interprete della moda asservito solo alla sua sensibilità e, al tempo stesso, proprietario dell’azienda in cui produce le sue collezioni, seguendone direttamente lo sviluppo e la lavorazione. Se gli si chiede in che direzione stia andando la moda non sa indicarla: c’è molta confusione, il marketing vince sul buon gusto e sulla meritocrazia, ma tutto questo in realtà gli interessa poco.