Che importanza ha avuto per lei la richezza infinita dei suoi colori e l’architettura dell’abito?
Il colore non è solo il nutrimento e la fonte della vita che parla ai cinque sensi (il colore lo si può toccare, respirare, ascoltare, gustare e contemplare) ma anche l’origine delle forme, perché partecipa alla creazione dei volumi, dell’architettura di tutto quello che mi circonda e che amo.
Ogni volta che mi lancio in un progetto “paradossale” ho l’impressione di respirare un ossigeno nuovo e di sentirmi al mondo. Provo a me stesso che la vita è meno riduttiva di quello che si pensa. Ma se parliamo di tappe fondamentali, beh, di sicuro la prima collezione è stata decisiva, il premio Molière nel 1996 per i costumi di Fedra alla Comedie Française, il mio primo TGV, il primo hotel. E ora, ovviamente, questa mostra.
Le sfilate da non dimenticare?
La prima, senza alcun dubbio. E poi l’estate 2000, molto più astratta e grafica. E ovviamente, come sempre, la prossima.
Lei è anche il curatore della mostra dello stilista Christian Lacroix. Come ha concepito la scelta degli abiti e l’allestimento?
Non volevo considerare gli ultimi vent’anni con una banale retrospettiva promozionale. Ho voluto piuttosto una leggera introspezione, incrociando alcuni modelli tra le quaranta stagioni dell’haute couture che ho realizzato e una larga selezione di abiti di varie epoche presenti nella collezione del Musée des Arts Decoratifs. Tutto ciò grazie a una stretta collaborazione con Olivier Saillard, co-curatore della mostra, con cui collaboro da anni. Da tempo abbiamo in mente di mettere in luce il fondo tessile del Museo della Moda e di studiare il ritorno cronologico delle mode. Diverse decine di modelli della Maison Lacroix scelti da Olivier -io non ne sarei stato in grado- sono presentati su manichini di cui ho disegnato la testa, il profilo e il collo lungo, cercando di rimanere fedele allo spirito dei miei bozzetti.
Come ha potuto trovare la distanza necessaria del curatore rispetto alle sue creazioni?
La selezione sui modelli scelti è stata ancora una volta istintiva, affettiva e storica. Ho scelto i modelli che mi avevano ispirato o che conoscevo già e che mi sembravano avere uno charme e una forza superiori. Ho evitato pezzi troppo celebri, troppo visti, cercando di privilegiare piuttosto i tesori anonimi o sconosciuti, come quelli dello stilista degli anni ‘20 Main Rousseau Bocher, a cui è dedicata l’ultima sezione della mostra.
articoli correlati
L’opera è pia?
a cura di barbara martorelli
[exibart]
Allo Spazio Tempesta di Recanati, una mostra raccoglie una serie di cartoline realizzate da artisti, amici ed ex studenti di…
Si svolgerà a Napoli, nel 2026, la prima Biennale dell’Acqua del Mediterraneo, con artisti, architetti e attivisti: presentato il work…
Sguardo al programma di Frieze Seoul, tra performance, film e talk sui temi caldi del presente. Ben oltre i confini…
A Palazzo delle Paure, fino al 24 novembre, Lucio Fontana, Piero Manzoni, Enrico Baj, Bruno Munari, Arturo Vermi, Ugo La…
Davide Monteleone si aggiudica il Photo Grant 2024 promosso da Deloitte con uno progetto fotografico che esplora i territori delle…
Dopo oltre quattro anni di stop, il Museo della Moda di Palazzo Pitti riapre integralmente con un nuovo allestimento, che…