12 maggio 2006

fashion_interviste Spirituale Fashion

 
Montana, Burberry, Jil Sander, Céline. E da qualche anno anche un proprio marchio. Che come logo ha un simbolo antichissimo. Roberto Menichetti si racconta. Dalla crisi della moda al coloratissimo mondo dei surfisti. Tra sacro e profano, umiltà ed eleganza…

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Si parla di crisi su molti fronti, uno è quello del settore nel quale lavori…
In questo momento così di decadenza non vedo coscienza e coerenza in nessuna delle cose che si fanno sul piano culturale e artistico… è incredibile. Ha detto una cosa molto intelligente l’amministratore delegato della Apple. Lui fa interviste una volta all’anno, divide delle zone, delle aree del mondo, convoca i giornali importanti e meno importanti. Si concentra sulla comunicazione, orienta il messaggio, perché in realtà quello che si deve comunicare è l’energia, quella che esprime l’azienda, in questo caso, poi il prodotto e quello che uno fa. Non c’è una sola persona ma c’è un team. Un’azienda è fatta da tante persone e più sono in comunione più il successo è grande. Che poi siano cinque o cinquecento è secondario. Manca la motivazione, sempre di più sento storie di persone stanche. Imprenditori onesti costretti a chiudere.

Il processo creativo di uno stilista è molto simile a quello di un artista, cambia certamente il risultato finale. Fino a che punto l’arte entra nel tuo lavoro?
Lavoro su pitture e sculture da vent’anni.

Credo che il tuo logo nasconda altro. Apparentemente potrebbe sembrare un rosone medievale, mentre invece potrebbe essere un Mandala, o comunque un insieme di molti simboli…
Infatti lo è: è il simbolo centrale di Nevlana, rappresenta la percezione del maestro. Nevlana aveva capito dell’importanza del Cristo cosmico, però non è riuscito ad esercitare il distacco totale. La scritta Menichetti c’è ma potrebbe anche non esserci. Non si tratta di un logo ma di un simbolo che ho trovato in un libro a Parigi. Ha una storia lunga, piena di altri simboli, numeri, significati. Una volta in Italia l’ho solo ridisegnato.
Roberto Menichetti
Ecco ancora la tua ricerca e la tua curiosità delle manifestazioni della spiritualità…
Il rito, come l’alzarsi dal tavolo quando una donna si alza, non si fa per sudditanza ma è qualcosa legato alla natura. Un rituale, per fare un altro esempio, sono gli inchini: gli inchini che si fanno i ceri quando s’incontrano (vedi la Festa dei Ceri di Gubbio). Si tratta di un legame forte con la preghiera. Quando feci un grosso incidente la cosa che più mi mancò in cinque mesi di sofferenza fisica non fu l’impedimento, ma l’aspetto dell’inginocchiarsi. Ritengo che sia un qualcosa di così elevato che non va visto come un prostrarsi, ma come un unirsi attraverso quella chiave che è l’umiltà.

Che cos’è per te l’eleganza?
L’eleganza in realtà è l’umiltà. Il modo di porsi è fatto di umiltà e compassione. Quando ci si veste, ci si pone il problema, con umiltà, di chi si avrà di fronte. Mostrarsi in bikini e con il piercing… i popoli involuti fanno così.
Io noto nei giovani, soprattutto quelli legati ad un certo mondo come quello del surf, un forte legame nei confronti della natura. Stanno a ricordarci che questa, come l’essere umano si è evoluta, non è rimasta come prima, nel bene e nel male, con le sue reazioni. Chi vive questo capisce in realtà come bisogna porsi.

Il mondo del surf è un mondo pieno di colori…
Il contesto e il modo che hanno di agire queste persone è importante, è come se ridisegnassero in maniera naturale l’estetica e quindi i bisogni. Ci sono tantissime linee con decorazioni: su diecimila surf solo un decimo sono sbaIl logo Menichetti gliati. Un motivo c’è! Sta nella loro capacità. E se guarda caso persone della moda entrano in quel mondo, lì ‘toppano’.
Si sta aprendo un mondo nuovo, quello dei colori. Vai a Santa Monica e Baia Mexico, bisogna andare là, in spiaggia e sedersi. Per poi vedere l’industriale, il direttore di banca, il grafico, lo studente, il lavapiatti, e capire cosa si tolgono, cosa si mettono. Bastano quattro giorni. Il mondo va avanti. L’eleganza di cui si stanno ridisegnando le regole è basata sulla semplicità; l’essenzialità è la chiave per ripartire…

La dimensione del sacro è molto presente nel tuo lavoro. Ti sei mai misurato con i paramenti religiosi?
Otto anni fa a Gubbio venne il cardinal Martini, e passammo una giornata insieme. Parlammo degli indumenti del Papa; il cardinale sentiva che in relazione ai sacramenti, nonostante la cadenza del rituale, occorreva tornare a riflettere. Lui mi chiese di occuparmene. Io non lo feci. Non per scarsa umiltà, anzi io ho trascorso la mia vita facendo ricerca sui simboli, sull’ermetismo. Quarant’anni fa avrei accettato, ora i parametri sono diversi e occorre tararli sulle nuove generazioni. Un lavoro enorme sul piano applicativo. La percezione del colore da parte dei ragazzi è diversa poiché l’hanno fatta propria. Il blu cobalto intenso che era il simbolo della Madonna è già loro, è già nell’immaginario.

Perché hai scelto la moda per esprimerti?
Filosofia significa “fare il filo a sofia”: il filo all’anima del mondo che è la donna. Io sto a Gubbio, e da lì cerco di andare in profondità nelle cose.

*intervista pubblicata su Exibart.onpaper n. 25

M2

[exibart]

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