Lo stesso giorno hai inaugurato anche il nuovo showroom di Milano, uno spazio che parla lo stesso linguaggio dei tuoi abiti. Com’è maturato questo progetto?
Il progetto è nato dall’esigenza di contestualizzare lo stile Ilaria Nistri. Creare uno spazio che parla lo stesso linguaggio della collezione valorizza ogni singolo pezzo, evidenzia il fil rouge che lega ciascuna stagione alla successiva, pur in un’evoluzione di forme e materiali. Mi permette di evitare quell’appiattimento, quel livellamento che avevo notato in fiera. Inoltre, lo showroom milanese, con la sua struttura a quinte di teatro e gli elementi mobili, consente di creare molteplici scenari. È uno spazio puro, in cemento e metallo, libero da orpelli, dove si possono sperimentare forme di comunicazione diversa: per l’inaugurazione, ad esempio, la proiezione di un video dell’ultima collezione e le gigantografie degli abiti, montate sulle strutture di metallo, avevano preso il posto dell’esposizione degli abiti stessi. Il tutto avvolto in una luce blu, colore dominante della prossima primavera/estate.
L’esperienza di luglio come finalista al concorso di “Vogue” ti ha proiettato in un contesto internazionale, soprattutto a livello di visibilità. Qual è stato il momento più emozionante?
Sicuramente il trunk show: venti minuti in cui ti giochi tutto e devi far emergere l’anima del brand. Per fortuna, quando sono entrata io i giurati mi hanno chiesto una pausa per il caffè: sono rimasta sola in questo salone enorme con i miei vestiti, le scarpe, gli accessori e, nel sistemarli, nel riprendere contatto con il lavoro dei mesi precedenti, ho allentato la tensione.
Dopo gli studi in legge e alcuni anni nell’azienda di famiglia, i primi passi nel mondo del prêt-à-porter. Come sei arrivata a questa scelta?
Per una passione totale e non arginabile per gli abiti. Per tutto il periodo universitario, lo studio era il dovere, quello che sarebbe stato il mio lavoro del domani. Gli abiti erano la parte divertente e ludica della mia vita, la valvola di sfogo. Questo sistema mentale è andato avanti almeno finché non ho capito che potevo conciliare le due cose e far diventare la passione un lavoro. Gli anni nell’azienda di famiglia, a contatto con il mondo dei tessuti, sono stati un passaggio fondamentale per arrivare fin qui.
Il processo creativo. Dove trovi l’ispirazione per una nuova collezione?
Sicuramente la ricerca tecnica è la base solida su cui costruisco ogni mia collezione: le fiere di tessuti, il contatto diretto con i produttori sono passaggi fondamentali della fase creativa. Ma in questa fase avviene spesso un processo singolare, attraverso il quale gli stimoli che colgo nel privato, un paesaggio, un’opera d’arte o un libro, si ricongiungono con i materiali e le stampe visti. Come se ricostruissi una corrispondenza, senza che ci sia un prima e un dopo. È come un cerchio che si chiude, e in quel momento capisco di aver trovato il mood che ispirerà tutta la stagione.
Nei tuoi abiti si rintraccia una memoria d’antan, completamente assimilata e rielaborata. Il vintage è una tua passione?
Lo è stata soprattutto agli inizi: ho collezionato porcellane giapponesi antiche, accessori anni ’20, vecchie borse da dottore. Adesso continuo a cercare e a raccogliere oggetti, vintage o modernissimi, non importa. Mi colpisce quello che esce dal solito, che sia d’antan o futuristico.
Un “tuo” stilista di riferimento del passato?
Agli inizi della mia esperienza come stilista ho molto amato Rick Owens e lo stile pulito e forte della scuola di Anversa. Ma nei miei abiti c’è più passione, più calore, e quell’infatuazione è un po’ passata. Sono molto incuriosita, a livello concettuale, da alcuni motivi ricorrenti negli abiti disegnati dai futuristi: il vestito come forma di comunicazione e l’uso dei modificanti per trasformare gli abiti in modo personale sono temi che ritornano in chiave diversa anche nelle mie collezioni. Ma, ripeto, è una vicinanza concettuale, non di forma.
Considero gli abiti che indosso elementi di un linguaggio assolutamente personale, una pelle sopra la pelle, che permette di esprimermi senza usare le parole. Poi posso decidere di dire la verità oppure no, e quindi indossare una cosa che mi rispecchia nell’intimo o apparire ciò che non sono.
Nello spazio Lane Crawford di Hong Kong hai progettato l’installazione per alcuni pezzi della scorsa primavera/estate, esplorando così anche il mondo dell’architettura e dell’interior design…
Mi sono avvicinata a queste realtà parallele alla moda di recente, restaurando la mia casa di Prato e lo showroom. Mi piace soprattutto lavorare con il colore e con i materiali forti come il metallo e l’acciaio. Posso fare migliaia di prove per trovare la giusta sfumatura.
State iniziando a lavorare alla collezione per l’autunno/inverno 2009/2010. Puoi anticipare qualcosa?
Sarà fluida. Sempre più fluida, in tutte le declinazioni…
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a cura di francesca lombardi
la rubrica fashion è diretta da marzia fossati
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