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30
aprile 2009
fashion_mostre Hussein Chalayan
Moda
Tra ricordi di Mediterraneo ed esperienze autobiografiche. Hussein Chalayan crea abiti come accadimenti sul corpo, piccoli eventi che luccicano, vibrano, si espandono in tavolini da tè. La mostra autobiografica al Design Museum di Londra ne racconta la storia...
di Italia Rossi
È la prima mostra personale a Londra per Hussein Chalayan (Nicosia, 1970; vive a Londra), riconosciuto come uno dei più visionari e innovativi fashion designer fin dalla sua collezione d’esordio alla Central St. Martin’s College of Art and Design nel 1993 e l’apertura del suo brand l’anno successivo. Due volte British Designer dell’anno, vincitore del prestigioso premio della Brit Insurance Designs nel 2008 e insignito dell’Mbe per le eccellenze britanniche, Chalayan è oggi due volte all’anno sulle passerelle parigine, stupendo ogni volta giornalisti, critici, designer e appassionati.
Chi conosce il lavoro di questo versatile e talentuoso designer sa che ogni sfilata è qualcosa di più d’una successione di abiti. In quindici anni di progetti sperimentali, Chalayan ha collaborato con musicisti, antropologi, designer industriali, esperti di dna, videomaker e tecnici di robotica, per creare eventi memorabili che vanno ben oltre il concetto di fashion classicamente inteso.
Palloncini fluttuanti riempiti di elio sospesi su modelle (Kinship Journey, autunno/inverno 2003) e vestiti in vetroresina (Before Minus Now, primavera/estate 2000), le cui scocche tecnologiche rivelano, al semplice premere d’un bottone, la delicatezza sfumata del tulle rosa. Abiti che diventano oggetti d’arredo in After words (autunno/inverno 2000), ispirato ai profughi di guerra. E vestiti robotici per la collezione One Hundred and Eleven (primavera/estate 2007), fatti di stoffe preziose e sottili come ali d’insetto su meccanismi attivati da invisibili click, che fanno spuntare perline da gonne e rouches da pieghe, che fanno aprire e chiudere zip, che fanno sparire un vestito leggero nella falda di un cappello.
E, ancora, i futuristici abiti-schermo per Airbone (autunno/inverno 2007), ricoperti da migliaia di piccolissimi cristalli Swarovski e da oltre 15mila led, e Readings (primavera/estate 2008), un abito fornito di 200 laser mobili.
Tutte le collezioni di Chalayan riservano una sorpresa, dunque. E l’aspetto comune sembra essere un atteggiamento più che uno stile: un’idea di abito come accadimento, fenomeno, come medium tra corpo ed environment, come metafora, come luogo di esplorazione d’idee, concetti e movimenti.
Ogni volta gli spettatori diventano testimoni di un evento unico, perché ogni abito implica un’azione, dove le modelle sono attrici del racconto in atto e lo spazio circostante è il set dell’avvenimento, non una muta passerella. Quest’aspetto performativo si evince chiaramente nella produzione di video d’arte e installazioni, con le quali il nome di Chalayan ha viaggiato in diverse mostre d’arte internazionali, non ultima la 51esima Biennale di Venezia, dove rappresentò la Turchia con la videoinstallazione The Absent Presence con Tilda Swinton.
Di tutta questa ricchezza, però, si legge ben poco nella mostra, dove si perde la magia della produzione di Chalayan. La descrizione del lavoro rimane timida, senza una convincente scelta critica né un’accessibilità reale ai concetti. Gli abiti, estrapolati dal contesto, per quanto meravigliosi perdono vitalità, come eventi congelati sui corpi senza vita dei manichini. Se ne misura la potenza evocativa e performativa solo in alcuni video delle sfilate.
Non si realizza dunque quell’esplosione che ci si aspetterebbe dal lavoro di Chalayan, né la complessità e intensità del suo lavoro. La concomitanza tra la mostra e la nomina di Chalayan a direttore artistico di Puma, che è anche lo sponsor della mostra, rende il tutto ancor più ambiguo, oscillando tra il sapore artistico e quello commerciale.
Si attende ora la prima collezione Puma/Chalayan, prevista per la fine dell’anno, così come gli effetti sulle manifatture Gucci (che sono parte del gruppo Puma) nelle prossime collezioni firmate dal designer cipriota. Ma, soprattutto, si spera che il nuovo incarico sia un sostegno per le sue ricerche, le cui spese lo portarono nel 2001 alla bancarotta, con debiti di ben 250mila sterline.
E forse gli permetterà di realizzare il suo sogno, quello di avere un proprio showroom, dove accanto agli abiti destinati alla vendita ci siano quelli sperimentali. E poi i video, le installazioni, magari i sarti al lavoro con tecnici di robotica, e performance stupefacenti per i saldi di fine stagione.
Chi conosce il lavoro di questo versatile e talentuoso designer sa che ogni sfilata è qualcosa di più d’una successione di abiti. In quindici anni di progetti sperimentali, Chalayan ha collaborato con musicisti, antropologi, designer industriali, esperti di dna, videomaker e tecnici di robotica, per creare eventi memorabili che vanno ben oltre il concetto di fashion classicamente inteso.
Palloncini fluttuanti riempiti di elio sospesi su modelle (Kinship Journey, autunno/inverno 2003) e vestiti in vetroresina (Before Minus Now, primavera/estate 2000), le cui scocche tecnologiche rivelano, al semplice premere d’un bottone, la delicatezza sfumata del tulle rosa. Abiti che diventano oggetti d’arredo in After words (autunno/inverno 2000), ispirato ai profughi di guerra. E vestiti robotici per la collezione One Hundred and Eleven (primavera/estate 2007), fatti di stoffe preziose e sottili come ali d’insetto su meccanismi attivati da invisibili click, che fanno spuntare perline da gonne e rouches da pieghe, che fanno aprire e chiudere zip, che fanno sparire un vestito leggero nella falda di un cappello.
E, ancora, i futuristici abiti-schermo per Airbone (autunno/inverno 2007), ricoperti da migliaia di piccolissimi cristalli Swarovski e da oltre 15mila led, e Readings (primavera/estate 2008), un abito fornito di 200 laser mobili.
Tutte le collezioni di Chalayan riservano una sorpresa, dunque. E l’aspetto comune sembra essere un atteggiamento più che uno stile: un’idea di abito come accadimento, fenomeno, come medium tra corpo ed environment, come metafora, come luogo di esplorazione d’idee, concetti e movimenti.
Ogni volta gli spettatori diventano testimoni di un evento unico, perché ogni abito implica un’azione, dove le modelle sono attrici del racconto in atto e lo spazio circostante è il set dell’avvenimento, non una muta passerella. Quest’aspetto performativo si evince chiaramente nella produzione di video d’arte e installazioni, con le quali il nome di Chalayan ha viaggiato in diverse mostre d’arte internazionali, non ultima la 51esima Biennale di Venezia, dove rappresentò la Turchia con la videoinstallazione The Absent Presence con Tilda Swinton.
Di tutta questa ricchezza, però, si legge ben poco nella mostra, dove si perde la magia della produzione di Chalayan. La descrizione del lavoro rimane timida, senza una convincente scelta critica né un’accessibilità reale ai concetti. Gli abiti, estrapolati dal contesto, per quanto meravigliosi perdono vitalità, come eventi congelati sui corpi senza vita dei manichini. Se ne misura la potenza evocativa e performativa solo in alcuni video delle sfilate.
Non si realizza dunque quell’esplosione che ci si aspetterebbe dal lavoro di Chalayan, né la complessità e intensità del suo lavoro. La concomitanza tra la mostra e la nomina di Chalayan a direttore artistico di Puma, che è anche lo sponsor della mostra, rende il tutto ancor più ambiguo, oscillando tra il sapore artistico e quello commerciale.
Si attende ora la prima collezione Puma/Chalayan, prevista per la fine dell’anno, così come gli effetti sulle manifatture Gucci (che sono parte del gruppo Puma) nelle prossime collezioni firmate dal designer cipriota. Ma, soprattutto, si spera che il nuovo incarico sia un sostegno per le sue ricerche, le cui spese lo portarono nel 2001 alla bancarotta, con debiti di ben 250mila sterline.
E forse gli permetterà di realizzare il suo sogno, quello di avere un proprio showroom, dove accanto agli abiti destinati alla vendita ci siano quelli sperimentali. E poi i video, le installazioni, magari i sarti al lavoro con tecnici di robotica, e performance stupefacenti per i saldi di fine stagione.
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italia rossi
mostra visitata il 7 aprile 2009
dal 22 gennaio al 17 maggio 2009
Hussein Chalayan – From fashion and back
Design Museum
28 Shad Thames – SE1 2YD London
Orario: tutti i giorni ore 10-17.45
Ingresso: intero £ 8,50; ridotti £ 6,50/5
Info: tel. +44 02079408790; fax +44 08709091909; info@designmuseum.org; www.designmuseum.org
[exibart]