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02
luglio 2010
fashion_mostre Napoleone e l’Impero della moda Milano, Triennale
Moda
Il sistema della moda come strumento del potere. E come segno dei tempi. Illustrato da 51 abiti e una raccolta di stampe provenienti dagli anni del Direttorio e dal periodo napoleonico...
La contingenza storica a cavallo tra Settecento e Ottocento,
con la frenetica precipitazione di eventi che porta dalla Rivoluzione Francese
all’Impero di Napoleone Bonaparte, è segnata da trapassi epocali: il suddito
diviene cittadino; la borghesia sostituisce l’aristocrazia (o le si affianca);
il centro della vita mondana si sposta dalle corti a boulevard e salotti;
appaiono i primi sperimentali prototipi di dandy e sono i couturier a fare l’uomo,
come mirabilmente descritto da Balzac a proposito del debutto in società di Eugène
de Rastignac. Dal cattolicesimo trionfante alla società dello spettacolo, dagli
instrumenta regni
di Machiavelli alle tesi sulla biopolitica di Foucault: controllare le masse
indirizzandone i desideri (o gli acquisti) è da sempre una tecnica privilegiata
dal potere.
La mostra, allestita appoggiandosi alla collezione di
abiti d’epoca di Cristina Barreto e Martin Lancaster (marito e moglie: lei ha
lavorato con Armani, lui possedeva un’azienda tessile), offre una panoramica
sull’evoluzione del gusto tra l’ultimo decennio del Settecento e Waterloo. Non
si osservano soltanto indumenti, prevalentemente femminili e abbinati per
comporre mise
complete, ma anche una serie di stampe pubblicitarie ante litteram, tratte dal Costume
parisien,
l’allegato del Journal des Dames et des Modes, o garbatamente satireggianti le
ossessioni e i rituali delle fashion victim del tempo. Il display documenta la
nascita dell’industria della moda moderna con i corollari della stampa
specializzata e del gioco dell’import/export (specialmente tra Francia e
Inghilterra) di tessuti e accessori.
Parallelamente la disposizione in ordine cronologico degli
abiti favorisce la decrittazione del discorso politico sotteso. Gli anni del
Direttorio furono effervescenti, caratterizzati da una generale
liberalizzazione dei costumi e da una relativa emancipazione femminile: abiti
dalla vita allargata sul modello della chemise e fasce che si evolvono in nodi,
acconciature ispirate alla classicità romana rimandano a un’eleganza più
spartana e democratica (le differenze di censo, semmai, si vedono dagli
accessori). Inoltre eleggono la valorizzazione del corpo, la praticità e
comodità a valori, in opposizione al gusto per l’orpello artificiale ancien regime.
Ricorre, nei pannelli esplicativi, una sapida citazione
del Bonaparte intento a incitare una madame a cambiarsi più spesso d’abito. L’attenzione
dell’Imperatore alla moda intesa come strumento di propaganda è il fil rouge
della seconda parte dell’esposizione: la campagna di normalizzazione dopo i
fermenti finalizzata al sostanziale ritorno alle abitudini pre-rivoluzionarie
si traduce, attorno al 1810, nel ritorno del corpetto sotto l’abito e nella
scomparsa dello scialle (simbolo giacobino) che resta in auge solo tra gli
underclass.
Il corpo femminile è abolito nuovamente dall’ordine
ricostituito e il potere può tornare ad autocelebrarsi, seppur tra foschi
presagi: l’esposizione è chiusa da un immenso manto cerimoniale con strascico
in velluto viola, ricamato con le api simbolo del potere imperiale,
confezionato in previsione di un non meglio precisato lutto.
con la frenetica precipitazione di eventi che porta dalla Rivoluzione Francese
all’Impero di Napoleone Bonaparte, è segnata da trapassi epocali: il suddito
diviene cittadino; la borghesia sostituisce l’aristocrazia (o le si affianca);
il centro della vita mondana si sposta dalle corti a boulevard e salotti;
appaiono i primi sperimentali prototipi di dandy e sono i couturier a fare l’uomo,
come mirabilmente descritto da Balzac a proposito del debutto in società di Eugène
de Rastignac. Dal cattolicesimo trionfante alla società dello spettacolo, dagli
instrumenta regni
di Machiavelli alle tesi sulla biopolitica di Foucault: controllare le masse
indirizzandone i desideri (o gli acquisti) è da sempre una tecnica privilegiata
dal potere.
La mostra, allestita appoggiandosi alla collezione di
abiti d’epoca di Cristina Barreto e Martin Lancaster (marito e moglie: lei ha
lavorato con Armani, lui possedeva un’azienda tessile), offre una panoramica
sull’evoluzione del gusto tra l’ultimo decennio del Settecento e Waterloo. Non
si osservano soltanto indumenti, prevalentemente femminili e abbinati per
comporre mise
complete, ma anche una serie di stampe pubblicitarie ante litteram, tratte dal Costume
parisien,
l’allegato del Journal des Dames et des Modes, o garbatamente satireggianti le
ossessioni e i rituali delle fashion victim del tempo. Il display documenta la
nascita dell’industria della moda moderna con i corollari della stampa
specializzata e del gioco dell’import/export (specialmente tra Francia e
Inghilterra) di tessuti e accessori.
Parallelamente la disposizione in ordine cronologico degli
abiti favorisce la decrittazione del discorso politico sotteso. Gli anni del
Direttorio furono effervescenti, caratterizzati da una generale
liberalizzazione dei costumi e da una relativa emancipazione femminile: abiti
dalla vita allargata sul modello della chemise e fasce che si evolvono in nodi,
acconciature ispirate alla classicità romana rimandano a un’eleganza più
spartana e democratica (le differenze di censo, semmai, si vedono dagli
accessori). Inoltre eleggono la valorizzazione del corpo, la praticità e
comodità a valori, in opposizione al gusto per l’orpello artificiale ancien regime.
Ricorre, nei pannelli esplicativi, una sapida citazione
del Bonaparte intento a incitare una madame a cambiarsi più spesso d’abito. L’attenzione
dell’Imperatore alla moda intesa come strumento di propaganda è il fil rouge
della seconda parte dell’esposizione: la campagna di normalizzazione dopo i
fermenti finalizzata al sostanziale ritorno alle abitudini pre-rivoluzionarie
si traduce, attorno al 1810, nel ritorno del corpetto sotto l’abito e nella
scomparsa dello scialle (simbolo giacobino) che resta in auge solo tra gli
underclass.
Il corpo femminile è abolito nuovamente dall’ordine
ricostituito e il potere può tornare ad autocelebrarsi, seppur tra foschi
presagi: l’esposizione è chiusa da un immenso manto cerimoniale con strascico
in velluto viola, ricamato con le api simbolo del potere imperiale,
confezionato in previsione di un non meglio precisato lutto.
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a cura di Cristina Barreto e Martin Lancaster
Triennale
Viale
Alemagna, 6 (Parco Sempione) – 20121 Milano
Orario: da
martedì a domenica ore 10.30-20.30; giovedì ore 10.30-23
Ingresso € 8
Catalogo Skira
Info: tel. +39
0272434208; fax +39 0289010693; info@triennale.it; www.triennale.it
[exibart]