Le mutande dei cowboy. Nei paesi scandinavi per decenni la parola jeans, difficile da pronunciare, è stata sostituita con la locuzione cowboy-boxer. Ancora oggi il sabato pomeriggio si va in centro a comprare un paio di boxer e non un paio di jeans. Scandinavia a parte, per la maggioranza degli abitanti del pianeta i jeans sono una seconda pelle, un indumento imprescindibile, un capo versatile che si declina dal feriale al festivo, da giorno e da sera.
Ben due mostre, a Firenze e a Prato (e non dimentichiamo le recenti iniziative jeansesche di Genova, città dove il tessuto è nato), ne celebrano il mito in quasi tutte le sue sfaccettature. A Prato Jeans! Le origini, il mito americano e il made in Italy si snoda negli spazi espositivi del Museo del Tessuto, totem intorno al quale si stringe lo storico -e in cerca di riscatto- distretto industriale pratese. A Firenze la navata della Stazione Leopolda, chiesa laica della contemporaneità fiorentina, L’altro jeans, mostra antologica dei primi quarant’anni di onorata carriera di Marithé e François Girbaud. Questi ultimi giullari del jeans in tempi non sospetti, anche quando era “cheap but not chic”.
La mostra pratese mette in scena circa 100 manufatti tra tessuti e capi d’abbigliamento, provenienti da collezioni italiane e straniere, che ripercorrono le tappe del jeans, i processi di lavorazione e di tintura in relazione ai mutamenti della storia del costume.
Il percorso espositivo si articola in quattro
La mostra di Prato vede tra gli enti promotori A.N.G.E.L.O, tempio del vintage, memoria storica e archivio on sale della moda italiana. Ormai il “monumento” più noto di Lugo di Romagna, il negozio è meta di pellegrinaggi commerciali e visite eccellenti da molti anni (stilisti e loro collaboratori vanno a sbirciare in archivio per riprendere una fantasia, un taglio, una cucitura, un accostamento azzardato). Ma il jeans è un modus vivendi, un’alternativa al denim in quanto tessuto, e le due mostre toscane sono ipotesi volte a confermare il mito, quello del pantalone venuto dal West.
L’Altro Jeans si concentra sulla reinterpretazione del jeans da parte di Marithé e François Girbaud, trasformato da capo strettamente da lavoro ad indumento moda. Dopo aver modificato i materiali esistenti, i Girbaud si concentrano sullo studio di nuove materie, di trattamenti alternativi. Nessuno, prima di loro, aveva venduto dei jeans délavé.
Inventori dell’industrializzazione del Stonewash nel 1976, non esitano, trenta anni più tardi, ad elaborare il Blue Eternal (B.E), un denim indaco in grado di conservare perfettamente il colore ad ogni lavaggio. Il duo creativo ridefinisce anche la costruzione stessa del jeans, spostando l’attenzione sull’attitude, cioè sul modo di indossare il capo. L’ossessione per il cavallo, l’estrema cura per il dettaglio funzionale, la sensibilità per il taglio e per una forma sempre più ergonomica: il jeans subisce una vera e propria metamorfosi.
La mostra si divide in aree tematiche, segnalate da originali giganti che rappresentano le varie “jeans attitude”: Prologue American, Stonewash, Denim Research, Jean Alternative, Amérasie, Jeanealogie, De Métamorphojean au Jean de M+FG, Be Blue Eternal, Washed Words, Lazer Syndone.
Meraviglia: a vita bassa, lavati, da lavoro o di moda, un classico. Come il sesso.
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