Dalla visione punk anti-consumista del do it yourself all’attuale Fashion Activism, la Francia organizza per la prima volta una mostra consacrata a Vivienne Westwood, un’icona della moda da quasi cinquant’anni.
“Compra di meno, scegli bene, fallo durare!” Afferma Lady Westwood – promossa al rango di Lady dalla regina Elisabetta II nel 2006 – più militante che mai; la stilista britannica è un’attivista per i diritti umani, combatte il riscaldamento globale e condanna le disfunzioni dell’apparato politico e finanziario. La sua filosofia ambientale è nel libro Get a Life: The Diaries of Vivienne Westwood o su climaterevolution.co.uk
Questa è storia recente, ma prima?
Siamo nella Londra degli anni ’70, al 430 di King’s road si accendono le vetrine di quello che sarà il laboratorio del movimento punk, Sex, il negozio controcorrente che ha visto i primi modelli dell’enfant terrible della moda, creati con il suo compagno Malcolm McLaren, manager dei Sex Pistols. Gli anni ’80 vedono la prima sfilata con la collezione Pirate disegnata con McLaren che lanciò lo stile New Romantic, a cui seguono la collezione Witches, in collaborazione con Keith Haring, o Savage dove esplora i motivi grafici tradizionali dei nativi americani, e così via sui podi delle capitali della moda.
Tartan, tweed, velluto, denim, catene, corde, bracciali con borchie, mini crinoline e magnifici corsetti in versione moderna, il cappello bicorno, gli stivali “armatura” in pelle metallizzata o i tacchi vertiginosi delle iconiche Super Elevated Gillie, le scarpe che hanno fatto scivolare Naomi Campbell durante la sfilata della collezione Anglomania, infine non potevano mancare le t-shirt dai messaggi politici, da quelli punk ai più recenti della collezione Climate Revolution. Questo tuffo nell’universo geniale della musa del punk è presentato al Museo dei Tessuti di Lione lungo un percorso cronologico e tematico puntellato dalla bellissima collezione di abiti, calzature e oggetti di Lee Price, ex collaboratore della casa Westwood che ha iniziato la sua carriera nella mitica boutique londinese ridenominata Worlds End, nel 1996.
Curato da Esclarmonde Monteil e Julie Ruffet-Troussard, il percorso espositivo è immerso in una scenografia eco-responsabile grazie al riutilizzo di materiali di altre mostre e al coinvolgimento dell’imprenditoria locale e solidale, perfettamente quindi in linea con l’attuale pratica ambientalista della casa di moda britannica.
Dall’idea originale alla creazione, passando per la storia del costume – la designer è un’appassionata di costumi del XVIII e del XIX secolo – la collezione di Lee Price è in diretto dialogo con belle creazioni del museo dei Tessuti di Lione, per un totale di 200 pezzi tra costumi, accessori, scarpe, opere d’arte, dipinti, disegni, fino a vinili, come il rarissimo God Save the Queen (1977) dei Sex Pistols e l’eccezionale copertina di Jamie Reid.
Puntare sulla qualità a scapito della quantità è uno dei principi della creatrice britannica, ogni capo è infatti un esempio di attenzione e cura nei particolari. Ricercatrice infaticabile esplora la storia per appropriarsene e creare abiti moderni, vedi la nota toile de Jouy con i suoi personaggi e paesaggi bucolici, usata per lo più nel rivestimento per mobili. “Mi piace parodiare gli inglesi e usare tessuti britannici”, dichiara Westwood, che usa infatti il tweed o il noto tartan – il tessuto prodotto a Lochcarron in Scozia – per reinventare motivi completamente originali. Tanto altro da scoprire in questa mostra dal titolo emblematico “Vivienne Westwood. Art, mode et subversion”, fino al 17 gennaio 2021 a Lione.
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